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1-F: Codici sulla neve?

Aggiornamento: 6 giu

Articolo di Sofia Lincos


Il 12 gennaio, una donna che si firma su TikTok come Jade Jules ha postato un video che è diventato immediatamente virale, raggiungendo in breve tempo oltre 11 milioni di visualizzazioni. Nel filmato si vede la protagonista uscire di casa, raggiungere un bidone della spazzatura lì vicino e infine inquadrare un inquietante “codice” scritto sul coperchio: “1F”. La didascalia diceva, semplicemente:


“Che ca** significa questo?”

Tra i commentatori del video, l’interpretazione più gettonata era che si trattasse dell’acronimo di 1 Female, cioè una donna. Ma perché qualcuno avrebbe dovuto scrivere una cosa del genere su un bidone della spazzatura? Anche qui, la risposta era quasi univoca: si trattava, secondo i più, di segni lasciati in prossimità delle abitazioni per segnalare l’identità di coloro che vi abitano. A tracciarli sarebbero presunti ladri, rapitori o trafficanti di donne. Molti commenti suggerivano alla protagonista del video di chiamare subito la polizia e di stare attenta ad eventuali sconosciuti nei paraggi, che forse potevano averla presa di mira.


In un post successivo, Jade Jules mostrava alcuni poliziotti nei pressi della sua abitazione e forniva ai suoi followers il seguito della storia: aveva avvisato le forze dell’ordine, ma queste non avevano potuto fare nulla di concreto. Alla fine, a quanto pare, aveva deciso di tornare per qualche giorno da sua madre, tanto per stare più tranquilla.


La storia ha avuto centinaia di commenti ed è stata rilanciata migliaia di volte, anche al di fuori di TikTok. Può essere inclusa in una tradizione ormai consolidata sul social network: quella degli awareness video, brevi clip che hanno lo scopo di mettere in guardia altre persone da presunti pericoli. In molti casi, però, questi filmati finiscono per pescare a piene mani dalle più classiche leggende metropolitane, perpetrando idee distorte su temi come la sicurezza personale, il traffico d’organi, la presunta “tratta delle bianche” e così via.


Nel video di Jade Jules, in particolare, confluiscono tre filoni leggendari:

- Le orme o i segni “anomali” trovati sulla neve; - I segni lasciati dai ladri; - I timori per il traffico di esseri umani.


Il primo tra questi filoni comprende diverse storie di impronte bizzarre sulla neve, che destano inquietudine o rimangono avvolte nel mistero.


Il caso più noto è forse quello delle cosiddetto orme del diavolo, che l’8 febbraio 1855 vennero trovate a centinaia vicino a un paesino del Devon (Inghilterra), in piste tortuose che sembravano interrompersi, superare muri, svanire nel nulla per poi riprendere a decine di metri di distanza. Molte ipotesi furono fatte, ed è ormai impossibile separare realtà storica, folklore ed esagerazioni giornalistiche.


In tempi assai più recenti, un altro esempio è quello postato sui social a fine 2020: il 31 dicembre una donna di Grimsby ha notato piccole orme, con quattro dita, che sembravano arrampicarsi sulla neve depositata sul parabrezza della sua auto. Ha postato le foto sui social network, raccogliendo decine di ipotesi (scoiattoli? Gnomi? Alieni?). L’ipotesi più probabile rimane però quella dello scherzo. Si tratta, in effetti, di tracce molto facili da realizzare con le mani: un piccolo cerchio, qualche colpo di polpastrello a fare le dita, e il mistero è servito.


Ma le impronte sulla neve possono anche assumere contorni più inquietanti… Che dire ad esempio di un classico come questa leggenda metropolitana?


Una quindicenne è a casa da sola, di notte, e sta guardando la tv su un divano accanto a una finestra. Fa freddo, è inverno e sta nevicando. Mentre la ragazza guarda i fiocchi che scendono, nota una figura minacciosa fuori dalla finestra. L’uomo estrae dal cappotto un coltello da macellaio. La ragazza impaurita si nasconde sotto la coperta e chiama la polizia. Quando i poliziotti arrivano, ascoltano la testimone e cercano le orme dell’uomo nella neve fresca. Solo che lì non c’è nessuna impronta. Invece, trovano impronte bagnate in casa, proprio dietro al divano. “Sei molto fortunata ad essere ancora viva, ragazzina”, le dice l’agente. “Perché?”, risponde confusa la ragazza. “Perché l’uomo era dietro di te. Era il suo riflesso quello che vedevi alla finestra”.

Impronte (o la loro assenza!) che diventano prove di un incontro ravvicinato con la morte, testimoni tangibili del male che ci ha sfiorato - ma a cui siamo sopravvissuti. Proprio come nel caso di Jade Jules, nel quale le lettere impresse sulla neve sono un avvertimento: i trafficanti di uomini sono passati di lì, a un soffio di distanza, ma non hanno ancora compiuto il loro misfatto.


Il secondo filone, quello a cui il codice 1F si richiama più apertamente, riguarda i segni segreti usati da ladri e altri malintenzionati.


Secondo questa leggenda, i ladri comunicherebbero tra loro tramite appositi cifrari, enigmatici per tutti se non per i membri della malavita: tracce incise sui citofoni per schedare gli abitanti della casa e le loro abitudini, croci nere sull’asfalto, rametti e sassolini raggruppati in particolari conformazioni nei giardini, fiocchi legati ai pali per indicare l’esistenza di un “buon obiettivo”, scarpe appese ai cavi della corrente elettrica o enigmatiche scritte (come la celebre “Dio c’è”) per identificare i luoghi dove si spacciano stupefacenti… La varietà dei presunti segni criminali non ha limiti. Si tratta di una storia dilagata negli anni ‘90, ma di per sé antichissima: nella forma dei segni dei girovaghi se ne trovano tracce già a fine Diciannovesimo secolo, ma antecedenti ancora più remoti sono

i presunti segni segreti degli incendiari, di cui si favoleggiava parecchio nella Germania di inizio Cinquecento.


In tempi a noi prossimi, due particolari incarnazioni della leggenda hanno avuto parecchio seguito: la prima, è quella dei presunti segni dei pedofili tracciati sui giocattoli, che secondo alcune interpretazioni servirebbero a marchiare i bambini destinati al rapimento; la seconda è quella degli altrettanto presunti segni dei ladri di cani, fascette di plastica o altri segnali che identificherebbero le case individuate come possibili obiettivi dei ladri di animali.


I segni tracciati sul coperchio dei bidoni della spazzatura di Jade Jules ne costituiscono un’ulteriore evoluzione: le case sono marchiate tramite simboli impressi nella neve. È piuttosto curioso che nessuno si sia posto dei dubbi sull’opportunità di usare un supporto tanto effimero. Cosa succede quando la neve si scioglie? E perché non usare con i membri della propria banda mezzi più pratici, come un messaggio su WhatsApp, una telefonata, un bigliettino con su scritto l’indirizzo presso il quale compiere il furto?


Ma forse non si tratta solo di ladri: qui entra in scena il terzo filone leggendario, cioè quello dei mezzi più o meno immaginifici messi in atto dai criminali per rapire donne e bambini.


Si tratta di un timore assai diffuso negli Stati Uniti, da cui probabilmente proviene anche il video di Jade Jules: le storie su furgoni bianchi in appostamento, i rapimenti tramite anelli narcotizzanti e biglietti da visita alla burundanga sono all’ordine del giorno. Anche qui si tratta di storie antichissime: già nell’Ottocento, a Parigi e in molte altre città europee (Italia compresa), circolavano storie sui piqueurs, ignoti malfattori che andavano in giro per le strade a pungere le donne con siringhe contenenti sostanze in grado di renderle incoscienti. Le vittime venivano poi rapite e avviate alla tratta delle bianche… O almeno, questo è quanto si raccontava.


Più o meno negli stessi anni, in Inghilterra si era diffuso un vero e proprio panico da cloroformio, magari offerto alle ignare vittime come innocuo tabacco da fiuto, mentre negli Stati Uniti si vociferava di donne rapite nelle pericolosissime gelaterie italiane, e un po’ in tutta Europa si proponevano racconti su donne fatte sparire da ebrei con turpi finalità.


Anche qui, le storie sui mezzi adoperati dai malfattori sono varie e sfaccettate: negli ultimi anni hanno avuto parecchia diffusione alcuni awareness video che parlano di ipotetiche tecniche usate per indurre le donne a lasciare l’ambiente sicuro della propria auto e uscire all’esterno, dove i criminali sarebbero in agguato. Alcuni esempi?


Nell’agosto 2020, poi, ha avuto grande diffusione un’immagine con una didascalia che ricorda molto da vicino la nostra storia. Forse ne rappresenta il precedente più diretto. La fotografia, rilanciata su Twitter anche dall’attore James Wood, mostrava un’auto con sopra il codice 1f1b. Il testo diceva:


Una mia cara amica era con suo figlio, oggi, a far compere al Walmart di Bricktown. Quando è uscita dal supermercato una donna l’ha fermata e le ha fatto notare una scritta sul suo lunotto posteriore (1f1b) - presumo stia per “una donna e un bambino” (1 female 1 baby). Le hanno poi detto che è il metodo che usano adesso i trafficanti di esseri umani per marchiare le auto… Vi prego madri, padri, nonni… zie & zii. State in guardia! Sentitevi liberi di condividere. Non taggo la mia amica per ragioni personali.

Come faceva notare Snopes, si trattava di una notizia falsa: la polizia di Bricktown (New Jersey) ha affermato di non sapere nulla del caso in questione, precisando anche di non avere notizie di eventuali “marchiature” delle auto. “Un altro rumor di Facebook senza fondamento”, l’ha definito il sergente Jim Kelly.


Queste storie rischiano di offuscare la tragica realtà del traffico di esseri umani: secondo le organizzazioni che se ne occupano, l’induzione alla prostituzione avviene però secondo altre strade, magari prendendo di mira persone in difficoltà economica, psicologica, sociale. L’idea che donne a caso siano rapite fuori da un supermercato e avviate al mercato del sesso è da considerarsi pura leggenda.

Sono storie che hanno successo per la loro funzione ansiolitica: conoscere le mosse del “nemico” permette di anticiparlo. Se il timore è quello di essere rapiti, il “marchio” funge da avvertimento: si rende visibile prima del crimine. Grazie ad esso, si può stare in guardia e correre ai ripari, mettendo in atto strategie di contrasto. Non per nulla, alcuni dei commentatori del video di Jade Jules le hanno dato suggerimenti per superare in astuzia i potenziali rapitori. Eccone due particolarmente interessanti:


1F significa “una femmina”: sei stata presa di mira, quello che devi fare è mettere della neve fresca sul coperchio e scriverci sopra 3M, cioè “tre maschi”, così [un rapimento] è meno probabile.
Metti un biscotto sotto il tuo zerbino e se lo trovi rotto quando torni significa che sono venuti a bussare o a cercarti.

Quest’ultimo consiglio è degno di nota perché prende il via molto probabilmente da un precedente awareness video che aveva avuto popolarità notevole nel 2018, raggiungendo oltre 6 milioni di visite: si raccontava che un metodo molto usato dai ladri fosse proprio quello del biscottino. I criminali ne sistemavano uno sotto lo zerbino, e così potevano conoscere gli spostamenti delle persone di casa. Se invece rimaneva intatto per un certo periodo di tempo, ne deducevano che il proprietario era in vacanza: era il segnale di via libera per procedere al furto.


Anche in questo caso, si tratta di tecniche che sembrano più leggendarie che reali: non risultano essere mai state davvero messe in atto, e d’altra parte avrebbero un tasso di fallimento troppo grande. Davvero nessun padrone di casa noterebbe il rumore di un biscotto che si spezza o la presenza di un biscotto sotto lo zerbino, o magari una fila di formiche pronta a raccoglierne le briciole? E cosa succederebbe se, ad esempio, il proprietario dell’abitazione poggiasse il piede sulla parte sbagliata del tappetino, lasciando intatto il dolcetto?


Insomma, nei consigli dei followers di Jade Jules la presunta tecnica dei malfattori si trasforma in un’arma nelle mani delle vittime: può essere usata per capire se qualcuno si è avvicinato alla casa. E questa è un’ulteriore, notevole evoluzione della leggenda.



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