Articolo di Sofia Lincos
Abbiamo già parlato dei primi due capitoli della trilogia di Alvin Schwartz: Scary Stories to Tell in the Dark e More Scary Stories to Tell in the Dark. Oggi è il turno del volume conclusivo della serie: Scary Stories 3: More Tales to Chill your Bones.
Ancora una volta illustrato dai disegni per nulla rassicuranti di Stephen Gammell, che sovente coglie il carattere più disturbante delle leggende del libro, Scary Stories 3 è uscito nel 1991 e contiene forse più dei suoi predecessori capitoli che attirano il nostro interesse - anche per la capacità narrativa delle short stories di Schwartz.
Ecco le cinque storie che pure stavolta abbiamo selezionato per voi.
1. L’appuntamento (The Appointment)
Un ragazzo di sedici anni lavorava nella fattoria di famiglia. Un giorno andò in paese col furgoncino, e qui per strada vide la Morte che gli parve fargli dei cenni. Il giovane scappò immediatamente a casa e chiese al nonno di prestargli il furgone per scappare fin nella grande città, dove la Morte non avrebbe potuto trovarlo. Il nonno glielo diede, e poi andò in paese alla ricerca della Morte. “Perché hai spaventato mio nipote?”, le chiese. “Ha solo sedici anni, è troppo giovane per morire.” “Mi spiace”, rispose la Morte. “Non volevo impaurirlo, ero sorpresa di vederlo qui. Sai, ho un appuntamento con lui oggi pomeriggio - nella grande città”.
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La storia vi avrà certo ricordato il testo di una celebre canzone del 1977 di Roberto Vecchioni, “Samarcanda”. In effetti entrambe le storie derivano da un motivo orientale antichissimo, le cui tracce sembrano risalire addirittura a un racconto babilonese. Del rapporto tra la canzone di Vecchioni e questo racconto si era parlato su Query on line. Nel tempo la storia è stata ripresa da innumerevoli autori. Fra le decine di usi fatti, due particolarmente interessanti: il primo, quella dello psicoanalista austriaco Viktor Frankl, che la usò nel suo libro seminale del 1946, Alla ricerca di un significato della vita, uscito nella sua edizione originale americana nel 1946; Frankl chiama la storia “Death in Tehran”. L’altra è invece un’originale applicazione del racconto classico alla teoria dei giochi, opera del professor Arif Ahmed, un logico dell’Università di Cambridge. Ahmed la chiama “L’appuntamento a Baghdad”.
L'ambientazione è di solito orientale (Samarra nell’odierno Iraq, Samarcanda in Uzbekistan, Babilonia in Mesopotamia…), mentre il tema è quello dell'ineluttabilità della morte e dell'impossibilità di cambiare il proprio destino. Lo stesso Vecchioni ha raccontato di aver scritto Samarcanda in seguito alla morte del padre, avvenuta per una malattia che sembrava ormai in via di guarigione.
2. Harold (Harold)
Protagonisti della storia sono due pastori, Thomas e Alfred, che durante l'estate portano i loro animali in alpeggio. Qui, per passare il tempo, decidono di costruire uno spaventapasseri di grandezza umana. Nel corso delle settimane i due scherzano con la loro creazione, lo battezzano Harold, parlano con lui e lo maltrattano quando vogliono sfogarsi per una giornata cattiva. Poi, un giorno, sentono una specie di grugnito uscire dalla bocca dello spaventapasseri… Dapprima terrorizzati, poi concludono che dev'essere stato qualche animaletto preso tra la paglia con cui è fatto Harold. Tutto procede come sempre, finché un giorno lo spaventapasseri non solo comincia a muoversi, ma scappa dalla casa dei due pastori. Gli uomini terrorizzati decidono di riportare il gregge a valle, ma Thomas dovrà tornare indietro per recuperare lo sgabello da mungitura…
La storia si conclude con Harold che stende ad essiccare sul tetto dell’ex-abitazione dei due pastori la pelle insanguinata della schiena di Thomas, mentre Alfred ormai lontano sulla via del ritorno assiste impotente alla scena.
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Si tratta di una storia della tradizione americana, ma il cui tema è quello classico della creatura che prende vita rivoltandosi contro i suoi creatori. Un motivo ricorrente nel folklore di tutto il mondo, basti pensare - suggerisce lo stesso Schwartz - agli ovvi richiami al golem ebraico o al Frankenstein di Mary Shelley. Un utilizzo piuttosto simile alla storia di Schwartz è quello fatto dal regista Olivier Dahan in “Promises”, video del 1999 dei Cranberries. Mentre Dolores O’Riordan canta insieme alla band stando sopra un serbatoio d’acqua ai margini di un paesino del West americano del XIX secolo, un cowboy al pascolo si ritrova davanti uno spaventapasseri che prende vita assumendo l’aspetto di una strega che spicca il volo, terrorizzandolo. Quando l’uomo prova a spararle con la pistola che porta con sé, la strega-spaventapasseri afferra la pallottola con la bocca e la risputa verso di lui.
3. Il nuovo cucciolo di Sam (Sam’s New Pet)
Una coppia di americani va in vacanza in Messico e promette al figlio rimasto a casa coi nonni di tornare con un regalo. Agli inizi i due optano per un sombrero, ma poi notano un cagnolino che continua a seguirli. Pur essendo illegale far entrare animali non controllati in territorio statunitense, i genitori decidono di farne dono al bambino. Giunti a casa, il cucciolo sembra star male, così la famiglia lo porta da un veterinario… Il quale provvederà alla puntura per sopprimere l'animale - che, a detta del medico, era un feroce topo di fogna messicano, per giunta malato di rabbia.
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La storia ricalca quella del cosiddetto “cagnolino messicano”, a cui l’esperto di leggende metropolitane Jan Brunvand ha intitolato uno dei suoi libri (The Mexican Pet, 1986), documentandone la presenza negli Stati Uniti almeno dal 1983. Anche Paolo Toselli gli ha dedicato un capitoletto del suo La famosa invasione delle vipere volanti (Ledizioni, Milano, 2018). Vi figurano diverse varianti italiane, ad esempio quella dei coniugi che vanno in vacanza alle Maldive e scoprono di aver riportato indietro, quando lo fanno vedere al veterinario per farlo vaccinare, un terribile topo delle Maldive. Toselli rinomina la storia “Il cagnolino esotico”, perché il “topo” nelle varianti può arrivare dalle più diverse parti del mondo, anche se di norma si tratta di luoghi di vacanze da stereotipo: i Caraibi, Bangkok, le Hawaii, l’Egitto, il Tibet… In una versione più ampia, a rimanere vittima del topo-cane (e a volte in effetti l’animale è dipinto come un mostruoso incrocio) è il gatto di casa, cioè il povero cucciolo autoctono aggredito dalla bestia improvvidamente immigrata in modo clandestino in casa… Non ci sono naturalmente soltanto topi e topi-cane: in Italia, scrive Toselli, possono arrivare “gatti egiziani” (pericolosissimi, come tutti sanno!) e anche “un velenosissimo topo muschiato del Tibet”!
4. Il puntino rosso (The Red Spot)
Una notte una ragazza che sta dormendo riceve la sgradita visita di un ragno, che si ferma a lungo su una delle sue guance. Il giorno seguente la protagonista si sveglia con un puntino rosso in faccia. Chiede alla madre cosa potrebbe essere, e la donna le dice che si tratta semplicemente della puntura di un ragno, e di non grattarlo. Ma il puntino rosso nei giorni seguenti cresce, cresce, trasformandosi in una grossa bolla. La madre alla fine decide che il giorno seguente porterà la figlia da un dottore, ma quella sera la ragazza fa un bagno caldo… E lì, nella vasca, la bolla rossa si aprirà liberando le migliaia di ragnetti cresciuti dalle uova che la mamma-ragno aveva deposto nella sua guancia!
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Altro grande classico delle leggende contemporanee, segnalato fin dagli anni ‘70 come “il morso del ragno”. La storia fa parte della grande famiglia di leggende nota come bosom serpent (“la serpe in seno”, sulle cui versioni antiche c’è ora un saggio importante di Davide Ermacora, Roberto Labanti e Andrea Marcon uscito sulla rivista Folklore nel 2016). In esse, un animale (molto gettonati serpenti, ragni, insetti o topi) entra nel corpo di una persona e talvolta vi si riproduce.
Molto simile alla nostra, ad esempio, la storia secondo cui una donna avrebbe partorito dei piccoli polpi dopo aver nuotato nuda in una località in cui questi animali erano presenti in gran numero. Un elemento che invece, a differenza di altre varianti, nel racconto di Schwartz non è presente, è la “nazionalità” del ragno: in parecchie occasioni la protagonista è una ragazza in vacanza in una terra esotica come i Caraibi o qualche Paese orientale (India, Cina). In questi casi la leggenda ha il compito di mettere in guardia contro luoghi considerati pericolosi e “sporchi”.
5. Forse ricorderai (Maybe You Will Remember)
Una donna e sua madre arrivano in una Parigi affollata in un caldo giorno di luglio. La madre però si sente male, e le due donne decidono di affittare una camera in un hotel. Il medico dell'albergo visita la madre e comunica alla figlia che la genitrice è in condizioni assai gravi, e che è necessario procuararsi una particolare medicina disponibile nel suo studio, all’altro capo della città. La giovane parte in taxi alla ricerca del rimedio, ma il veicolo si trova impelagato nel traffico, la moglie del dottore la fa aspettare, e il taxi preso per il ritorno sembra sbagliare strada più volte… Insomma, l'intera operazione dura parecchie ore. Quando la ragazza torna all'hotel, ha una brutta sorpresa: la madre non c’è, e l'addetto alla reception giura di non averla mai vista. La giovane chiede quindi di ispezionare la stanza, ma la camera risulta assegnata ad un'altra persona e l'arredamento è diverso da quello che ricordava. Anche il medico dell'albergo afferma di non aver mai visto lei o sua madre, così come il fattorino che le aveva chiamato il taxi… Tutti continuano a ripeterle: “forse ha sbagliato albergo. Perché non si ferma qui una notte e prova a riposare? Allora forse ricorderà…”
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Si tratta di uno dei racconti più inquietanti di tutto il libro. È lo stesso Schwartz a darne la chiave di lettura nelle note al fondo del libro: la madre della protagonista è malata di peste, e i proprietari dell'albergo preferiscono far sparire il corpo e camuffare la stanza piuttosto che rischiare di perdere i clienti. Anche le autorità sono d'accordo, per non rischiare di scatenare il panico tra i turisti...
In un articolo assai documentato apparso su Snopes, l’origine di questa storia è fatta risalire a dir poco alla fine del XIX secolo. Almeno nella forma che vediamo (la stanza d’albergo con le turiste all’estero, di norma in luoghi assai lontani da casa) non può forse essere troppo retrodatata, perché l’ambientazione, appunto, è quella moderna in cui - per i borghesi - è possibile viaggiare rapidamente da una capitale all’altra: e per questo ci vuole il treno, o il traghetto a vapore.
L’articolo di Snopes sostiene che le prime varianti sarebbero in qualche modo collegabili al grande afflusso di stranieri in occasione delle Esposizioni universali di Parigi del 1889 e del 1900, che attrassero rispettivamente 32 e 50 milioni di visitatori, diventando così fra i primi eventi moderni comportanti spostamenti di grandi masse di persone a fini d’intrattenimento e di turismo.
Fin dagli albori del XX secolo, tuttavia, la storia si è prestata in modo eccellente ad un impiego in letteratura e, subito dopo, nel cinema. Fra gli utilizzi più antichi, il racconto The End of Her Honeymoon, del 1913, della scrittrice inglese Marie Belloc Lowndes, oppure She Who Was Helena Cass, del 1920, dell’americano Lawrence Rising. Tra i film, menzioniamo le due pellicole statunitensi The Midnight Warning, del 1932 (che peraltro pretendeva di ispirarsi a “un fatto vero”) e “So Long at the Fair”, del 1950, che circolò anche in Italia col titolo Tragica incertezza.
Il motivo dell'epidemia messa a tacere ai danni di un ricco turista è centrale anche nel celebre romanzo (e poi film di Luchino Visconti) La morte a Venezia, di Thomas Mann, coevo ai due testi anglosassoni (è del 1912). In questo caso, ciò di cui si sussurra è un'epidemia di colera, babau del XIX secolo.
Può darsi che le analisi di questa storia abibano ancora parecchio da rivelare agli studiosi del folclore contemporaneo: nel suo libro Among the Missing: An anecdotal story of the missing persons between 1800 and the present, pubblicato nel 1978 dall’americano Jay Robert Nash, un capitolo che presenta parecchi spunti si trova alle pp. 201-204. Nash ambienta la storia a Parigi ai primi del XX secolo, secondo lo schema che ricorre più di sovente, ma ne riconduce le origini alla stampa periodica di quegli anni. Compare di sicuro in un tentativo d’indagarla fatto nel 1911 da parte del quotidiano popolare londinese Daily Mail, che in qualche modo la riconduceva ad un giornalista americano del Detroit Free Press, Karl E. Harriman (1875-1935), ma fra molte ambiguità (lui stesso, interrogato, non ricordava più bene di averne scritto in prima persona).
Un parziale chiarimento è giunto nel 2010 dalla folclorista inglese Bonnie Taylor-Blake e dal suo collega “Garson O’Toole” sulle pagine della rivista FOAFTale News. Il ruolo di Harriman resta controverso malgrado i tentativi fatti per chiarirlo, ma di sicuro le prime versioni della storia della vanishing lady si trovano sul Detroit Free Press nel 1897, cioè in un periodo in cui vi lavorava quel giornalista; sembra però che non fosse lui l’autore, anche se, come visto, diversi altri lo avevano identificato come fonte originaria della nostra vicenda.
Quel che è certo è che Taylor-Blake e O’Toole hanno scoperto che quella versione del Detroit Free Press apparsa per la prima volta il 14 novembre 1897 ed ambientata ad un’esposizione internazionale di Parigi, fu ripresa sul momento e per tutto il 1898 da quotidiani americani importanti.
Ma parecchie questioni restano aperte: non si capisce se Harriman e la redazione del giornale di Detroit furono i primi a parlarne, contando anche il fatto che, se davvero una signora americana era scomparsa nella capitale francese per una delle diverse esposizioni universali che lì vi si tennero, l'episodio doveva essere accaduto almeno otto anni prima, nel 1889...
Insomma, nel complesso un ricco terreno di caccia per qualsiasi appassionato di leggendario contemporaneo.
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