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I polpi ladri delle fogne di New York - pardon, di Pozzuoli





Sono aggressivi, spaventosi, vengono su dalle fogne e sono pronti ad attaccare chi gli si parerà davanti… Topi? Alligatori? Serpenti? No, polpi.


Molti secoli prima che la leggenda dei coccodrilli delle fogne di New York prendesse piede - anzi, molto prima che il Vecchio Mondo si accorgesse dell’America - già si parlava di strani abitanti del sottosuolo. A scoprirlo è stata Camilla Asplund Ingemar, etnologa dell’Università di Uppsala (Finlandia), che nel 2008 ha pubblicato sul Journal of Folklore Research un articolo dal titolo inequivocabile: The Octopus in the Sewers: An Ancient Legend Analogue.


Ingemar ha individuato due storie, entrambe provenienti dal mondo greco-latino, che narrano di polpi che risalgono la corrente delle fogne o che si addentrano sulla terraferma dal mare. La prima versione arriva da Sulla natura degli animali del filosofo romano Claudio Eliano (165-230 d.C. circa), che scriveva in greco: una raccolta di aneddoti e curiosità sul mondo animale provenienti in genere da altri scritti dell’epoca. Eliano era nativo di Preneste, nel Lazio, e frequentò probabilmente la corte della coltissima e munifica Giulia Domna, moglie dell’imperatore Settimio Severo. Questo è il brano che ci interessa (capitolo 13, 6):


I polpi gradualmente diventano enormi e si avvicinano ai cetacei e vengono addirittura inclusi tra loro. Ho sentito infatti di un polipo - a Dicaearchia (Puteoli) in Italia - il cui corpo si era gonfiato e che arrivò a disprezzare e a disdegnare il cibo del mare e dei suoi pascoli. In seguito si avvicinò alla terra e saccheggiò il cibo, anche sulla terraferma. Quindi, attraverso una certa fogna nascosta che scaricava in mare i rifiuti della suddetta città, nuotava fino a una casa situata in riva al mare, dove i mercanti iberici depositavano i loro carichi, pesce in salamoia di quella regione in contenitori robusti; e così gettò i suoi tentacoli e afferrò la terracotta tanto che i vasi si ruppero, e consumò il pesce in salamoia. Quando i mercanti entrarono e videro i frammenti di vasellame, capirono che una grande quantità del loro carico era scomparsa, e rimasero stupiti e non riuscivano a indovinare chi li avesse derubati, poiché le porte erano esenti da manomissioni, il tetto era intatto, e i muri non erano stati scavati. Videro anche i resti del pesce in salamoia, che era stato lasciato lì dall'ospite non invitato. Decisero che uno dei loro servi, il più coraggioso, si sarebbe armato e avrebbe teso un'imboscata nell’abitazione. 
Durante la notte il polpo si avvicina furtivo al suo consueto pasto e si aggrappa ai recipienti, proprio come un pugile che afferra con forza il suo antagonista, tenendolo con tenacia, e così il ladro, o per meglio dire, il polpo, rompeva la terracotta molto facilmente. C'era la luna piena, e la casa era illuminata, e tutto si poteva cogliere a colpo d'occhio. Il servo non attaccò da solo, perché aveva paura dell’animale, ma la mattina presto spiegò ai mercanti cosa era successo. Non credettero alle loro orecchie. Allora alcuni ricordarono l'entità delle loro perdite e si dissero pronti ad affrontare il pericolo e ansiosi di incontrare il nemico in battaglia; altri, curiosi di vedere questo spettacolo nuovo e incredibile, si proposero volontari per aiutare l’uomo. 
La sera, il ladro torna di nuovo e si affretta a recarsi al suo consueto pasto. Allora alcuni chiudono il condotto, altri si armano contro il nemico e con mannaie e rasoi affilati tagliano i tentacoli, come vignaioli e taglialegna tagliano i giovani germogli di una quercia. Avendogli sottratto le forze, dopo molto tempo lo uccisero, ma con difficoltà e non poca fatica; e la cosa strana era che i mercanti avevano catturato la creatura marina sulla terraferma. La malizia e l'astuzia ci sembrano chiaramente caratteristiche di questo animale.

Il secondo testo individuato da Ingemar arriva dalla celeberrima Storia Naturale di Plinio il Vecchio. Plinio era probabilmente nativo di Novum Comum, nella Gallia Cisalpina (l’attuale Como), ma studiò a Roma e, a differenza di Eliano, intraprese viaggi e spedizioni militari, prima come comandante di cavalleria, poi come procuratore. Anche Plinio poneva l’accento sulla forza e sulla mostruosità di alcuni esemplari di polpo:


Nelle peschiere di Carteia, [un polpo], emergendo dal mare, raggiunse le vasche all’aperto e lì rubava il pesce in salamoia. Tutti gli animali marini amano meravigliosamente questo odore e per questo viene spalmato anche sulle nasse per i pesci. Così suscitò l'inquietudine delle guardie, una rabbia smisurata per via della frequente ripetizione dei furti. Furono eretti dei recinti, ma lui li scavalcava per mezzo di un albero e non poteva essere individuato se non dall'odorato acuto dei cani. Quando ritornava di notte, i cani lo assalivano da ogni parte, e le guardie, svegliatesi, erano molto spaventate dal suo aspetto singolare: prima di tutto, le sue dimensioni erano inaudite, come pure il suo colore; era imbrattato di salamoia e aveva un odore terribile. Chi si sarebbe aspettato un polpo lì, o lo avrebbe riconosciuto in queste circostanze? Sembrava loro di combattere contro un mostro, che con il suo fiato orribile tormentava i cani, e prima li frustava con le estremità delle sue appendici, poi li colpiva con le sue braccia forti come mazze; e a stento venne infine ucciso, con molti tridenti.

La fonte di Plinio per questa storia è un altro autore latino: Trebius Niger, che sarebbe stato proconsole della Hispania Citerior sotto Licio Licinio Lucullo, intorno al 150 a.C. (provincia in parte coincidente con la Betica, alla quale Plinio con un anacronismo assegnava Trebius, ma che in realtà nacque molto tempo dopo, e cioè col riordino delle province voluto da Augusto nel 27 a.C.). Comunque sia, in un’opera di ittiologia, Trebius Niger raccontava di aver visto con i suoi occhi la carcassa del polpo, dopo l’uccisione: un indizio che sembra conferire qualche tratto di veridicità alla storia, in cui potrebbero essersi fusi elementi veritieri e leggendari. O che potrebbe essere interpretato, viceversa, come un “appello alla testimonianza diretta”, come avviene oggi con molte leggende metropolitane. 


Questo, anche perché Ingemar considera le due storie varianti della stessa leggenda antica, antenata delle storie moderne sui coccodrilli nelle fogne: il nucleo narrativo centrale è sempre l’intrusione di un animale mostruoso - il polpo - in un contesto urbano o suburbano; i dettagli tra i due racconti individuati però differiscono, soprattutto per quanto riguarda l’ambientazione. La vicenda di Eliano è collocata nell’odierna Pozzuoli, in un deposito mercantile; il “suo” polpo risale un condotto usato dalla città per far defluire i rifiuti in mare, dettaglio che rende la sua storia assai simile alle leggende moderne sugli alligatori nelle fogne. Il racconto di Plinio, invece, è ambientato nella zona di Carteia, città fenicio-romana nei pressi dello stretto di Gibilterra - quindi, in qualche modo, vicina ai “confini del mondo”. Questa volta, l’animale arriva dal mare, ma si addentra nelle zone proto-industriali dove il pesce veniva lasciato a macerare (le “vasche” erano probabilmente quelle per la fabbricazione del garum, la salsa a base di scarti di pesce assai apprezzata nell’antica Roma e di cui la Spagna era grande produttrice). In questo caso il polpo riesce a rubare il pesce salendo e scendendo da un albero, un comportamento del tutto atipico per un animale marino. 


Questi animali erano visti come creature ambivalenti, che appartenevano al regno acquatico ma che potevano, all’occorrenza, anche camminare sulla terraferma. Per la loro intelligenza e per la capacità di cambiare colore erano emblema di astuzia e di malizia. Ma erano anche temuti, per via dei tentacoli e delle grandi dimensioni alle quali potevano arrivare: le cronache antiche abbondano di episodi di polpi mostruosi che avevano attaccato e distrutto navi intere. 


Monstra, quindi, che ben si adattavano a simbolizzare l’intrusione della “natura selvaggia” in un contesto antropizzato, al confine tra la città e lo spazio esterno. In questo, i polpi avevano qualcosa in comune con gli altri animali che ne avrebbero preso il posto, nel tempo a venire: prima i maiali rinselvatichiti delle fogne di Londra, nell’immaginario dell’Inghilterra vittoriana; poi gli alligatori cresciuti nei condotti di scarico di New York, dagli anni ‘30 del secolo scorso ad oggi. 


Ingemar suggerisce di prestare attenzione anche alle città scelte come ambientazioni della leggenda. Pozzuoli e Carteia erano luoghi “esotici” per il pubblico di Roma, agglomerati urbani brulicanti di vita, che basavano la propria economia sul commercio e sulle attività portuali. Un po’ come Londra e New York, presentavano al loro interno gran varietà di persone, mercanti stranieri e viaggiatori di etnia diversa; erano città ricche di attività ma anche di contrasti sociali. In questo contesto, la presenza di sacche di povertà, di rivolte servili, di criminalità, poteva dare l’impressione di trovarsi sempre a un passo tra il mondo civile e un qualcosa che covava nascosto, magari più in basso, nei condotti di scarico. Un sentimento che potrebbe aver portato, in tempi diversi, alla nascita di leggende simili, come quella dei suini londinesi o quella degli alligatori. Come spiega Ingemar:


Non sostengo un legame genetico diretto tra di esse. Si può dire che la paura di un mondo sconosciuto che si intrufola nella città, apice della civiltà umana, sia fondamentale in molte società urbanizzate. Nelle antiche leggende, questo mondo sconosciuto era simboleggiato dai polpi, piuttosto che dagli alligatori o dai maiali.

Immagine in evidenza: anfora con manici in stile palaziale rappresentante tre grandi piovre, proveniente dal cimitero miceneo di Argo - Prosymna, conservata presso il Museo Nazionale di Archeologia di Atene. Foto di George E. Koronaios, rilasciata in licenza CC BY-SA 4.0 , via Wikimedia Commons


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