Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo
Gli inverni, nel Vermont, sono quasi proverbiali per la loro rigidità La nazione delle Green Mountains ha fama di essere tra le più gelide degli Stati Uniti - Alaska esclusa - con un clima continentale paragonabile a quello di Mosca e di Stoccolma: temperature assai basse che raggiungono i 10 gradi sotto zero, abbondanti nevicate e vento pungente sono i tre elementi che ogni abitante del Vermont impara ben presto a conoscere.
Se ai giorni nostri abbiamo sicuramente buoni mezzi per difenderci, pensate a quanto poteva essere difficile un inverno nell’anno di grazia 1887, per una famiglia contadina del Nord-Est degli Stati Uniti. Ed è proprio in questo contesto - tra raffiche di vento ghiacciato e temperature sotto zero - che è ambientata la nostra leggenda: è la storiella dei vecchietti surgelati, una storia comparsa per la prima volta alla fine del Diciannovesimo secolo, ma che è entrata a pieno diritto nel folklore del Vermont.
Parenti surgelati contro il logorio dell’inverno
La prima fonte della nostra storia è rappresentata da un articolo dell’Argus and Patriot, un giornale stampato a Montpelier. Il 21 dicembre 1887, in prima pagina, ecco che certo A.M. firmava una curiosa corrispondenza:
Una strana storia - Sono un uomo anziano ormai, e nel corso della mia vita girovaga ho visto alcuni strani spettacoli, sia in terra straniera sia in questo paese; ma nessuno così strano come quella che di cui ho appreso da un vecchio diario tenuto da mio zio William, entrato in mio possesso alla sua morte, alcuni anni fa. Gli eventi descritti si sono svolti in un paese di montagna a una ventina di miglia da Montpelier, capitale del Vermont. Sono stato sul posto, là sulla montagna, e ho visto la vecchia casa di tronchi dove si svolsero gli eventi registrati nel diario, e ho visto e parlato con un anziano che mi ha garantito la veridicità del racconto: suo padre era uno dei soggetti operati…
Ma in che cosa consisteva l’operazione? Ecco che A.M. provvedeva a riportare alcuni stralci del diario dello zio.
7 gennaio - Oggi sono andato sulla Montagna e ho assistito a quello che per me è stato uno spettacolo orribile. Sembra che laggiù gli abitanti che non sono in grado - né per età né per altri motivi - di contribuire al sostentamento delle loro famiglie, vengano sistemati per l’inverno in un modo che sconvolgerà chiunque legga questo diario, a meno che non abiti nelle vicinanze.
Descriverò quello che ho visto. Sei persone, quattro uomini e due donne, tra cui un uomo storpio di circa trent'anni e gli altri cinque oltre l'età in cui ci si può rendere utili, giacevano sul pavimento terroso della capanna, drogati e insensibili, mentre i membri delle famiglie si stringevano intorno a loro con apparente indifferenza. In breve tempo i corpi privi di sensi erano stati ispezionati da parecchi anziani che avevano detto: "Sono pronti". Erano stati quindi spogliati di tutti i loro vestiti, tranne un solo indumento. Quindi i corpi erano stati trasportati fuori e adagiati su tronchi esposti all'aria gelida e pungente della montagna [...] Dopo circa un'ora sono uscito e ho guardato i corpi. Stavano congelando rapidamente.
Ancora una volta entrai dentro, dove gli uomini stavano fumando le loro pipe di argilla, ma su di loro era calato il silenzio. Forse stavano pensando al momento in cui sarebbe venuto il loro tempo di essere portati fuori; così, uno dopo l'altro, infine si sdraiarono sul pavimento e si misero a dormire. [...]
Il giorno seguente lo zio Williams vede che i corpi sono diventati ormai bianchi come la neve. Dopo colazione, i membri della famiglia ripongono tre corpi in una cassa lunga circa dieci piedi, con due piedi di paglia sul fondo, e gli altri tre corpi al di sopra dei primi:
Quindi i volti e la parte superiore dei corpi furono coperti con pezzi di stoffa; altra paglia fu messa nella cassetta e gli altri tre corpi posti sopra. Ricoprirono la stessa come i primi, con stoffa e paglia. Le assi furono quindi saldamente inchiodate al di sopra, per proteggere i corpi dagli animali carnivori che vivevano su quelle montagne.
Ritorno alla vita
I corpi vengono lasciati nelle casse per tutto l’inverno, in quel rozzo sepolcro circondato da rami di abete e ricoperto di neve. Ma ecco che una donna avvisa il protagonista della nostra storia: “Avremo bisogno che i nostri uomini piantino il grano, dopo primavera. [...] Se vuoi vederli resuscitati, vieni qui verso il 10 maggio prossimo”.
Sulla base di quanto concordata, l’uomo torna alla sua casa di Boston, ma non senza che il diario registri la sua seconda visita agli “uomini delle montagne”.
Ecco dunque che il 10 maggio, dopo un viaggio di quattro ore su sentieri fangosi e sconnessi, lo “zio William” si ripresenta puntuale all’abitazione dei contadini e può assistere al risveglio dei vecchietti della famiglia.
“Ho ritrovato qui gli stessi compagni che avevo lasciato lo scorso gennaio, pronti a dissotterrare i corpi dei loro amici. Non mi aspettavo di trovare nessuno di vivo lì, ma una sensazione a cui non potevo resistere mi spinse a venire a vedere. [...] Gli uomini iniziarono subito a lavorare, alcuni spalando, altri strappando via le erbacce. Ben presto la scatola fu visibile. Il coperchio fu tolto, gli strati di paglia rimossi e i corpi, congelati e in apparenza senza vita, sollevati e adagiati sulla neve.
Lì vicino furono posti dei grandi abbeveratoi fatti di tsuga pieni di acqua tiepida, in cui i corpi vennero immersi uno per volta, con la testa leggermente sollevata. Acqua bollente fu quindi versata negli abbeveratoi tramite bollitori appesi ai pali vicini, fino a quando l'acqua fu calda al punto in cui non potevo più tenere la mano dentro. [...] Dopo essere rimasti nelle vasche per circa un'ora, il colore cominciò a tornare sui corpi, e tutte le mani si misero a strofinarli e sfregarli. Questa operazione continuò per circa un'ora, finché una leggera contrazione dei muscoli del viso e degli arti, seguita da udibili rantoli, dimostrò che la vita non si era spenta e che l’energia stava tornando.
Nelle vasche vengono immersi rami di tsuga, che danno all’acqua un colore simile al vino (un tempo, la corteccia di quest’albero veniva usata per la concia della pelle). Poi, ai congelati vengono fatti bere alcolici in piccole quantità, fino a quando questi non riescono a deglutire autonomamente e a ricominciare a parlare. Infine, i “resuscitati” vengono portati in casa, dove possono finalmente consumare un pasto abbondante. E, secondo il diario,
sembravano stare bene come sempre, e non sembravano feriti in alcun modo, ma piuttosto rinfrancati dal loro lungo sonno di quattro mesi. Davvero, la verità è più strana della fantasia.
Il successo di una storia
L'Argus and Patriot di Montpelier era, almeno in quel periodo, un settimanale che usciva il mercoledì. La corrispondenza era firmata A.M., una firma che non sembra aver lasciato altre tracce nelle cronache di quel periodo. Eppure, l’identità dell’autore venne alla luce diversi decenni dopo.
Alla fine degli anni ‘40 un giornalista, Albert Stevens, trovò il ritaglio del giornale tra le carte lasciate dalla sua defunta madre. Da quel momento la storia venne stampata più e più volte, diventando una leggenda ricorrente nel folklore del Vermont. Appena un decennio dopo, un redattore del The Daily Times (Mamaroneck, New York) raccontava, nell’edizione del 21 dicembre 1956:
Da ragazzo, ascoltavo questa storia e mi interrogavo su di essa, e qualche volta la mia stanza nel New Hampshire era fredda, quasi al punto da farmi fare la stessa fine [dei vecchietti congelati], senza alcun aiuto da parte di genitori troppo attenti ai cordoni della borsa. [...] Ho ancora un ritaglio di quel giornale e di sicuro suonava autentico, al punto che quella storia cominciò a essere raccontata e ri-raccontata, ed è tuttora una delle più popolari e controverse leggende del vecchio Vermont.
Attraverso varie pubblicazioni, l’aneddoto finì anche nelle mani di Roland Wells Robbins, archeologo e appassionato di storia locale, che con l’aiuto della Vermont State Library riuscì a individuare la data di pubblicazione originaria del ritaglio, che nel mentre era andata persa (la madre di Stevens aveva dimenticato di segnarla). Nel 1949, lo studioso raccolse su Vermont Life quello che si sapeva di quella storia, che in verità era assai poco: l’articolo sui vecchietti surgelati non aveva suscitato reazioni immediate, né lettere ai giornalisti, né ulteriori commenti pubblicati sul settimanale.
L’origine del racconto
Poco tempo dopo, i redattori di Vermont Life ricevettero una lettera: era firmata da Mabel Hynes, una donna che scriveva dalla Florida. Il misterioso A.M. era Allen Morse, suo nonno. Raccontò che Allen era un amabile raccontafrottole: si divertiva a crearne sempre di nuove e bizzarre, per la gioia del suo uditorio. La tradizione dei tall tales, aneddoti esagerati e al limite dell’incredibile, è parte integrante del folklore americano, al punto che tuttora negli Stati Uniti si svolgono gare a “chi le spara più grosse”.
Un giorno, durante una riunione di famiglia, il cugino Benjamin Morse raccontò una storia straordinaria: mentre lui e la moglie stavano cavalcando da Montpelier a Calais, dove si trovavano in quel momento, avevano visto una fiammella blu uscire da una tomba di un vicino cimitero. Tutti cominciarono a tempestarlo di domande, e a fare ipotesi sulla natura di quel fuoco fatuo…
Così Allen, per riguadagnare il centro dell’attenzione, tirò fuori la vicenda dei vecchietti surgelati del Vermont. Alice, sua figlia, pensò si trattasse di una storia particolarmente riuscita e gli chiese di trascriverla, ma senza dirgli il perché. Alice lavorava proprio per l’Argus and Patriot e fece in modo che il racconto fosse pubblicato sull’edizione del 21 dicembre: un regalo per il compleanno del padre, che cadeva proprio in quel giorno.
Allen Morse morì nel 1917; il suo necrologio, pubblicato sull’Evening Argus il 29 gennaio di quell’anno, conferma che era nato il 21 dicembre 1835 e che viveva a Calais, a una quindicina di chilometri da Montpelier. Non ebbe tempo di vedere la sua invenzione prendere il volo, e diventare la macabra storiella conosciuta da “chiunque sia cresciuto nel Vermont centrale negli anni ‘50 e ‘60” (Times Argus, 5 agosto 2022).
I vecchietti surgelati, a loro modo, vivono ancora. Tempo di toglierli dalla cassa e far loro riprendere colore, e saranno pronti per il prossimo racconto.
Si ringrazia Roberto Labanti per le fonti fornite. Immagine in evidenza generata con Dall-E 2 OpenAI
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