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Il bianco ragno della morte



Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo


Aracnofobi, vade retro. Oggi vi presentiamo tre storie, tutte diverse, ma con un unico filo conduttore: un filo di sottile ragnatela…


Il ragno dei sepolcri


Il 29 novembre 1896, il quotidiano californiano The San Francisco Call pubblicò un lungo articolo su una credenza che - a detta sua - sarebbe stata ben diffusa in Italia: il ragno bianco delle tombe.


Gli italiani credono all’esistenza di una meravigliosa creatura che, in mancanza di un nome migliore, è detto ragno delle tombe. Gli entomologi ignorano tutto di questa strana bestia e dichiarano che esiste soltanto nella fantasia dei superstiziosi e di quelli la cui curiosità e i cui affari rendono necessario esplorare vecchie rovine, tombe, catacombe, ecc.
Stando al racconto popolare il ragno delle tombe è di un puro colore bianco, possiede ali come quelle dei pipistrelli, una dozzina di orrende gambe incrociate e un corpo grande tre o quattro le dimensioni della più grande tarantola dei tropici americani
Tuttavia, i racconti su questo strano insetto e sui suoi reconditi luoghi di dimora sono assai comuni, e in quei racconti le informazioni che ora vi daremo sarebbe poco definirle “curiose”.
Qualsiasi italiano, ad ogni modo, vi dirà che una tale creatura esiste e che la s’incontra ogni tanto in vecchie miniere e caverne, come anche nelle tombe e nelle rovine sotterranee.
La Saturday Review di Londra reca un articolo di un corrispondente che era presente quando alcuni operai romani hanno scoperto una chiesa del quinto secolo. Scrive: “eravamo in piedi accanto a una delle pesanti colonne che in origine sorreggevano il tetto, quando qualcosa piovve giù dal buio nero come la pece e rimase alla luce della candela più o meno all’altezza dei nostri occhi. Lo vedevamo distante circa novanta centimetri da noi e sembrava un insetto grosso come la metà del pugno di un uomo, bianco come la cera e con le sue numerose e lunghe gambe raccolte e incrociate sulla pietra”.
“La nostra guida aveva già visto, o perlomeno aveva già sentito parlare dell’orrendo insetto, infausto presagio, e non ne affrontò la presenza con calma, come dimostrano le sue azioni. Si guardò intorno smarrito per un attimo, poi corse via, seguito da noi. Ci parve curioso, ma il fatto è che anche coloro che hanno nervi più saldi cedono in presenza di questo insetto dall’aspetto tanto spettrale. Anche oggi questa orrenda apparizione resta non classificata - un mistero eterno. Quando il ragno delle tombe viene avvistato da quelli che scavano sotterranei e sepolcri, si pensa che sia un segnale di morte per uno degli operai, o per uno della sua famiglia”. [fine cit]

In fondo al testo, l’indicazione della provenienza del pezzo: non la prestigiosa Saturday Review, ma un quotidiano della sera allora popolarissimo, la Pall Mall Gazette di Londra. E’ possibile che l’articolo possa essere comparso in origine nell’autunno del 1896. Non siamo riusciti a rintracciarlo.


Ad ogni modo, è anche possibile che la storia sia inventata. Lungi dall’essere invenzione moderna, le fake news erano all’ordine del giorno sui giornali dell’Ottocento. Spesso si pubblicavano storie inventate, scherzi e notizie non verificate allo scopo di puro intrattenimento (serpenti di mare o carote, come li chiamava scherzosamente la stampa italiana). Nello stesso periodo in cui compare la storia del ragno delle tombe, The San Francisco Call era impegnato a promuovere l’idea che lo stato americano fosse sorvolato di notte dal fantastico dirigibile a motore di un inventore segreto. Non abbiamo altre informazioni sul ragno delle tombe, ma il fatto che in Italia non ci siano molte tracce di questa credenza potrebbe far pensare che anche questa notizia fosse inventata (o almeno, che non si trattasse di folklore così diffuso da essersi conservato fino ai nostri giorni).


Il ragno succhia-olio


Passiamo ora alla seconda storia, un’altra curiosa vicenda di ragni giganti. Nel 1812, a Parigi, il bibliotecario Antoine-François Delandine pubblicò il primo tomo del catalogo sui Manuscrits de la Bibliothèque de Lyon, che presentava, commentandole, migliaia e migliaia di carte conservate nella biblioteca della città francese.


Fra le altre cose, era menzionata una raccolta di lettere trovate in alcuni faldoni dell’Accademia di Lione, divisi in quattro volumi e datate fra il 1736 e il 1792. Si trattava di 621 manoscritti ordinati in senso cronologico. Delondine faceva un breve riassunto di quelli che gli sembravano più notevoli. Nel secondo volume, che copriva gli anni dal 1749 al 1757, il catalogo segnalava quanto segue (pp. 459-60):


Quella che reca il n. 33, dovuta al sig. Morand, dell’Accademia delle scienze, riferisce due fatti singolari. Nel 1732 il fabbriciere della chiesa di Sant’Eustachio, a Parigi, stupito di trovare sempre la lampada spenta e l’olio consumato, montò la guardia per una notte, e vide un ragno che scendeva lungo la fune e andava a bere l’olio. Quel nutrimento aveva talmente disteso le fibre e la pelle di quel corpo, che [l’animale] aveva raggiunto un volume enorme. Nel 1751 ne fu scoperto uno simile nella cupola della chiesa di Milano, che si nutriva dell’olio delle lampade e il cui corpo - del color della seta, arrotondato e che terminava a punta, con il dorso e le zampe pelose - pesava quattro libbre. Il signor de Stainville lo inviò all’imperatore d’Austria. Il signor Morand descrisse questo insetto mostruoso e ne inviò il disegno all’Accademia.

Il de Stainville citato potrebbe essere il conte-duca Jacques-Philippe de Choiseul-Stainville (1727-1789, nel ritratto qui sotto), militare francese che fu al servizio di vari regnanti europei e, proprio in gioventù, di Maria Teresa d’Austria, che nel 1751 era (fra le altre cose) duchessa regnante di Milano. Quanto a Morand, si trattava del medico Jean-François Morand (1726-1784),

un curioso di ogni stranezza: più che di medicina, preferiva occuparsi degli aspetti peculiari di ogni disciplina scientifica, dalle malattie insolite alla meteorologia, fino ai farmaci portentosi.


Su Morand, per quel che sappiamo, riposa la versione più antica della nostra storia. Se il suo manoscritto è sopravvissuto, come scritto da Delondine, doveva contenere un disegno del super-ragno della lampada. Nessuna informazione, invece, su quale potesse essere la “chiesa di Milano” del racconto.


Il catalogo del bibliotecario lionese servì da fonte per le storie del ragno dell’olio delle lampade in più di un caso, ad esempio per la rivista americana The Atheneum (vol. 9, aprile-ottobre 1821, p. 485) o per quella scozzese Edinburgh Magazine and Literary Miscellany del luglio-dicembre dello stesso anno (p. 268). In queste versioni, però, la “chiesa di Milano” diventava una più appetibile “cattedrale”.


Lo studioso di criptozoologia e zoologo britannico Karl Shuker, nel 2017, ha discusso a lungo la leggenda dal suo punto di vista, notando che nel Settecento le lampade delle grandi chiese erano ancora alimentate da grasso di balena: cosa che in teoria avrebbe potuto servire da alimento per varie specie. La fisiologia degli aracnidi, in particolare la loro modalità di alimentazione (che si basa proprio sul consumo delle prede rese liquide da masticazione e enzimi digestivi), gli faceva pensare a una base reale del nostro racconto: semmai, avanzava dei dubbi sulle dimensioni descritte, del tutto improbabili nella realtà.


Al di là di questo, è stato Shuker ad attirare l’attenzione su un’interessante menzione della nostra storia: il ragno succhia-olio compare infatti in uno dei libri più famoso al mondo, Dracula di Bram Stoker (1897). Qui, il cacciatore di vampiri Abraham Van Helsing, parlando con il suo ex allievo John Seward, gli domanda:


Puoi dirmi perché, mentre gli altri ragni muoiono presto e piccoli, quel grande ragno ha vissuto per secoli nella torre della vecchia chiesa spagnola, crescendo e crescendo, fino a quando, calando, poteva bere l’olio di tutte le lampade della chiesa? [traduzione nostra, NdA]

A noi la domanda che si pone Shuker, se lo spostamento della storia da Milano a Parigi o alla Spagna fosse frutto di un’altra versione, stavolta colpisce poco. Il centro simbolico della storia, piuttosto, è un altro: la presenza in luoghi sacri, dove la presenza della morte e del senso ultimo della vita domina su tutto, di un animale tremendo e a modo suo bellissimo, bianco come la seta o la cera. Shuker non riesce a decidersi per un punto di vista folklorico e antropologico-culturale sugli “animali misteriosi”: zoologo di formazione, spera di salvare la prospettiva naturalistica e di offrire alla scienza dati sufficienti per la scoperta di qualche nuova specie.


In fondo, si tratta di un punto di vista tradizionale, come quello che usava nel 1947 il naturalista inglese William S. Bristowe, nelle prime pagine del suo libro di maggior successo, A Book of Spiders. Anche lui menzionava i due aneddoti sui ragni, quello della “cattedrale di Milano” e quello della chiesa di Sant’Eustachio: certo, non gli dava particolare credito né attenzione, ma ne era affascinato, e li usava per menzionare dimensioni da record di veri esemplari di ragni.


Il ragno delle lampade diventa velenoso!


C’è infine una terza leggenda, o una variante della seconda, quella del ragno succhia-olio. In questo caso l’aracnide diventa il responsabile della morte atroce di una serie di persone, un po’ come il temibile dente del serpente a sonagli nella storia degli stivali.


A parlarne è Atlas Obscura, purtroppo senza menzionare fonti: a Skrzyńsko, un paese a un centinaio di chilometri a sud di Varsavia, la chiesa cattolica era dimora di un ragno da mezzo chilo, detto, appunto, Pająk pół kilo. Viveva, in analogia ai nascondigli “alti” dei suoi colleghi parigini, nel soffitto della canonica, in un buco sopra la tavola alla quale mangiava il prete. Invecchiando, diventava sempre più velenoso (un elemento che nelle altre storie non c’è: nel caso polacco la minaccia è concreta). Ogni tanto, un po’ del suo veleno scendeva dall’alto e gocciolava nel piatto del prete, finché quello, lentamente, ne morì. Stessa sorte subì il suo successore, e dopo di lui altri sacerdoti ancora.


Gli abitanti del villaggio, spaventati da quelle morti, misero sottosopra la casa, scoprendo il mostruoso ragno e uccidendolo.Si racconta che il corpo della bestia fosse in mostra nella sala comunale sino ai tempi della Prima Guerra Mondiale, ma che in

seguito fosse andato perduto. La storia sopravvive nella cultura popolare, come testimonia questo dipinto del 2019, opera dell’artista polacca Livia Pietrow (a sinistra, da Wikimedia Commons CC-BY-SA-4.0)


Quella polacca è una leggenda di lenti avvelenamenti e morti misteriose. La minaccia cala (e cola) dall’alto, nascosta nell’ombra, e rimane lì per anni, mentre gli abitanti della canonica si susseguono (e cadono avvelenati). Al suo confronto, il ragno dei sepolcri e quello delle lampade sono quasi inoffensivi: eppure, anche quelli sono, a modo loro, perturbanti. Il primo vive nelle tombe, bianco come la cera, ed è presagio di morte: la sua presenza allude ai cadaveri stessi (di cosa si nutrirà, lì in mezzo alle tombe?). Il secondo, pallido e “color della seta”, scende dall’alto per nutrirsi di nascosto, succhiando per anni l’olio che illumina il luogo sacro. Tutti e tre hanno in comune le dimensioni enormi, superiori a qualsiasi ragno mai visto. I racconti su di loro forse alludono, come una cautionary tale, alle minacce oscure che si celano nell’ombra, ai rischi che si corrono in sotterranei, soffitte e antiche cattedrali. Forse sono ipnotici, stranamente attraenti, memento mori per tutti noi.


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