articolo di Paolo Toselli, coordinatore CeRaVoLC
La sera del 23 novembre 1980 Campania e Basilicata furono interessate da un sisma disastroso avvertito in quasi tutta Italia. L’area interessata dalle scosse più violente comprese una superficie di circa 20.000 chilometri quadrati, abitata da sei milioni di persone. I morti furono quasi 3.000. Col trascorrere delle settimane, dopo una naturale sovraesposizione alle notizie, si verificò un fenomeno riscontrabile in situazioni analoghe: sui mezzi di informazione del terremoto quasi non se ne scriveva né se ne parlava più. Di conserva, all’incirca a metà gennaio 1981, si diffuse con velocità straordinaria, in tutte le zone interessate dal sisma, una curiosa narrazione.
Il racconto, secondo quanto ricostruito da Paolo Apolito, all’epoca docente di antropologia culturale presso l’università di Salerno in un saggio pubblicato nel numero di aprile 1983 de La Ricerca Folklorica, era piuttosto scarno, con solo alcune varianti marginali:
Una Vecchia (raro un Vecchio) fermava un’auto per strada, chiedeva un passaggio e l’otteneva. Nel viaggio invitava a non lamentarsi e piangere per il 23 novembre perché era ben poco quello che era successo. Vi sarebbe stato un prossimo cataclisma ben più distruttivo. Subito dopo chiedeva di scendere e andava via. Le varianti più frequenti davano un paese d’origine alla Vecchia, in genere tra quelli più colpiti dal terremoto, il più frequente Balvano, in provincia di Potenza; l’automobilista che concedeva il passaggio era spesso un cacciatore, il cataclisma previsto era sempre un terremoto, ma anche un maremoto, un’eruzione vulcanica, la fine del mondo. A volte la Vecchia spariva nell’auto dopo la profezia. Una forte oscillazione riguardava la data della previsione. Una piuttosto frequente era il 14 febbraio.
Nei tratti di questa narrazione ritroviamo tutte le caratteristiche della leggenda più
famosa al mondo, quella dell’autostoppista fantasma.
A connotarla come tale furono per primi, come ben noto, due giovani antropologi statunitensi, Richard K. Beardsley e Rosalie Hankey, che tra il 1942 e l’anno successivo pubblicarono due articoli sul California Folklore Quarterly.
In poco tempo, partendo da una tipica storia di fantasma autostoppista ambientata a San Francisco, raccolsero settantanove esempi della storia e ne individuarono quattro versioni.
La più classica, riferita alla metà dei casi recuperati,era quella in cui l’autostoppista rivelava il proprio indirizzo, l’automobilista si recava nel luogo indicato e solo allora scopriva di aver avuto a che fare con un fantasma.
Nella seconda, l’autostoppista era una vecchia che, prima di sparire misteriosamente, profetizzava un imminente disastro. Per quest’ultima variante, le storie - circolate essenzialmente nel 1933 - si sono concentravano a Chicago e dintorni, dove si svolgeva l’Esposizione Mondiale, con connesso avvertimento di allontanarsi dalla città perché sarebbe sprofondata nel lago Michigan. In altri casi, tutti risalenti al 1941-42, si avevano suore autostoppiste che predicevano la fine della Seconda guerra mondiale, oppure annunciavano calamità naturali o epidemie. Una ricerca successiva, quella condotta da Louis C. Jones e pubblicata nel 1944 sulla stessa rivista, segnalava altri sette episodi concernenti suore autostoppiste ambientati a New York. In un caso, di cui si parlò molto nell’autunno 1941 a Kingston, la suora fu identificata con il fantasma di Madre Francesca Cabrini, fondatrice delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, proclamata santa cattolica nel 1946.
Insomma, la nostra vecchietta del terremoto è in buona compagnia, tant’è che il folklorista Ernest Baughman, nel suo monumentale e celebre Type and Motif-Index of the Folk Tales of England and North America, pubblicato per la prima volta nel 1966, dedicò due pagine all’autostoppista fantasma e ai suoi epigoni. Le vecchie signore che svaniscono dopo aver pronunciato sinistre profezie di disastri, guerre o crolli di grandi città sono raccolte al numero E332.3.3.1., sottotipo (d).
Storie simili hanno avuto una notevole diffusione proprio negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, ambientate un po’ ovunque. Ad esempio, è doveroso ricordare l’insolita notizia che aveva invaso numerosi quotidiani dell’Italia settentrionale nel febbraio 1977. Una catastrofe annunciata da una misteriosa “vecchina” si sarebbe abbattuta sulla città di Milano. La profezia sarebbe stata raccolta da numerose persone che avevano incontrato la donna, chi sul taxi, chi sul filobus, chi in metropolitana. Secondo una versione, due giovani che stavano transitando dalle parti di San Colombano al Lambro, avevano notato sul ciglio della strada, nella nebbia, una donna anziana che chiedeva un passaggio.
La vecchina era stata fatta accomodare sul sedile posteriore, poi, tra un sospiro e un colpo di tosse, aveva lanciato la terribile profezia: Evitate Milano la sera del 27. Ci sarà un terribile terremoto che distruggerà mezza città. A quel punto i due giovani, giratisi per guardarla in faccia, si accorsero che la donna non c'era più, dissolta. Sul sedile era rimasta una carta d'identità. Recatisi dai Carabinieri per raccontare l’episodio, scoprirono che il documento apparteneva a una persona morta dieci anni prima! La vicenda è stata ampiamente ricostruita da Sofia Lincos e Giuseppe Stilo in un articolo pubblicato su Query Online.
A differenza della vecchina post-terremoto dell’Irpinia, di cui, a quanto ci risulta, nessun giornale o telegiornale dell’epoca si occupò, ma circa la quale esistono numerosi racconti orali, la sua collega milanese, per quanto risulta a me e al CeRaVoLC, pare non aver riscontro diretto nell’oralità. Un’ipotesi sulla quale lavorare è che possa essersi trattato di un’invenzione giornalistica autoalimentatasi, come del resto si potrebbe supporre per analoghe “apparizioni” in altre parti del mondo. Ciò conduce a considerare il ruolo dei media nella diffusione, ma anche nella creazione, di queste specifiche storie.
Ad esempio, Cesare Bermani, nel suo saggio pionieristico Il bambino è servito. Leggende metropolitane in Italia (edizioni Dedalo, 1991), che si occupa anche di questa variante dell’autostoppista fantasma, collegandola - tra l’altro - al sottotipo del “cadavere nell’automobile” circolato nel periodo della Seconda guerra mondiale e di cui si è occupò ampiamente Marie Bonaparte nel suo Mythes de guerre (1950), riporta la testimonianza di un ragazzo di undici anni, da lui raccolta a Crusinallo, frazione di Omegna, nel marzo 1990.
C’era un gruppo di camionisti che andavano in giro e hanno trovato una ragazza che faceva l’autostop. Allora l’hanno caricata sul camion e, dopo aver conversato, ‘sta ragazza ha cominciato a dire le previsioni per il ’90 e raccontava che poteva venire la fine del mondo. Dopo si sono girati e questa ragazza non l’hanno trovata più, è scomparsa. L’ho sentita raccontare alla televisione a “Roba da matti”, un programma che facevano su Italia 1 e anche alla Rai.
Il racconto sembra corrispondere bene a quanto accaduto in Istria nel 1988. Per parecchio tempo i giornali croati riferirono di una “signora in nero£ che faceva l’autostop vicino al traforo istriano di Ucka e, una volta a bordo, svaniva nel nulla dopo un breve dialogo col conducente, nel corso del quale affermava di provenire dalla “quarta dimensione” e preannunciava la fine del mondo per il 1989. Un comunicato dell’Ansa da Belgrado, ripreso dal Corriere della Sera del 25 giugno 1988 spiegò, facendo riferimento all’articolo di un quotidiano locale, che il fantasma della donna vestita di nero era in realtà “una povera “ragazza già ricoverata all’ospedale psichiatrico di Pola” rintracciata dalla polizia in evidente stato confusionale proprio presso il traforo.
Ma la stessa fonte avanzava dubbi sull’effettiva identificazione della ragazza con la “dama nera”. Curiosa la coincidenza con l’episodio della vecchietta milanese, in cui fu rivelato che il “fantasma” era in realtà un’anziana signora in carne ed ossa, intervistata addirittura dai quotidiani locali. Una commistione tra folklore e logiche giornalistiche?
Ma torniamo alla Campania di quarant’anni fa. Ecco una versione particolarmente dettagliata, riferitami tempo addietro da Sergio M. come episodio veramente accaduto. Nei primi giorni di febbraio 1981 due operai della Fabbrica Accumulatori Riuniti di Casalnuovo stavano rientrando a Napoli dopo un’infruttuosa battuta di caccia nella campagna avellinese a bordo di una Fiat 127. In una zona montuosa, quando sul ciglio della strada notavano una vecchietta vestita di nero, con un fagotto bianco, che chiedeva un passaggio.
I due amici si fermano e la fanno sedere dietro. Le chiedono dove andasse tutta sola, quasi all’imbrunire e con quel gran freddo. La vecchietta rispose che “… doveva andare via da quel posto perché sarebbe tornata un’altra cosa brutta come quella di novembre”. E disse loro di andare a prendere le loro famiglie e di mettersi al riparo ed in salvo per il giorno 14 febbraio, “perché ci sarebbe stato un gran botto ed un grande polverone”. I due amici sorrisero e ricordarono alla vecchina che il terremoto c’era già stato. Non ottenendo risposta, si girarono e si accorsero che la donna era scomparsa; sul sedile era rimasto il fagotto, quasi a dimostrazione che non avevano sognato. I due rimasero sbigottiti e terrorizzati. L’uomo che guidava si accorse che l’amico aveva i capelli completamente bianchi: rientrato a casa, rimase convalescente per alcuni giorni e, sempre per la paura, dovette ricorrere alle cure dei sanitari.
In effetti, il 14 febbraio verso le 20 vi fu davvero una forte scossa con epicentro nel Beneventano, per fortuna molto breve, che provocò seri danni agli edifici ma nessuna vittima. La “conferma” della profezia diede linfa alla narrazione, che moltiplicò la sua velocità d’espansione. In molti raccontavano della Vecchia che prevedeva un altro cataclisma, spesso definitivo, da fine del mondo, per il 7 marzo.
L’ambito della diffusione del racconto era piuttosto ampio – ricorda Apolito. Personalmente registrai narrazioni e Salerno, Napoli e Avellino; studenti dell’università di Salerno ne raccolsero a Benevento, Caserta e Potenza. Registrazioni furono effettuate anche nei paesi e nelle cittadine campane. (…) Era possibile in tutti gli ambienti sentir parlare della Vecchia. Nelle case, nei bar, nei pullman, dal giornalaio, dal barbiere, nelle scuole, tutti moltiplicavano le voci.
Dopo l’insuccesso della seconda profezia, i giorni passarono più tranquilli e pian piano della Vecchia non si seppe più nulla. Ma qualcosa di ancor più interessante stava per accadere. In occasione del primo anniversario della tragedia, a novembre 1981, l’attenzione dei media si concentrò nuovamente sul tema e a questo punto si diffuse un nuovo racconto, questa volta con protagonista un Bambino. Secondo Paolo Apolito:
La velocità con cui comparve e scomparve questa nuova narrazione fu ancora maggiore. In poche settimane raggiunse l’acme e scomparve subito dopo. In un paese o cittadina variabili nasceva un Bambino; questi parlava immediatamente prevedendo la data di una scossa catastrofica, invitava a non piangere per la sua morte e subito dopo moriva. Le varianti significative volevano che il Bambino avesse la faccia da vecchio, che avesse i denti, a volte un occhio solo. La data prevista oscillava dal 23, esattamente all’ora dell’anno precedente, al 25-26. (…) Ne ho accertato la presenza a Salerno-Napoli-Avellino. Il 23 novembre le scuole furono semideserte, la sera molta gente era in strada ad aspettare che passasse l’ora dell’anniversario. Il panico era strisciante, anche perché i sismografi in quei giorni registravano piccole scosse (qualche giorno dopo, il 30, a Napoli una voce che scherzosamente in un cinema aveva gridato “c’è il terremoto” provocò una fuga collettiva con cinque bambini e una ragazza moribondi per la ressa). Le scosse vi furono ma non catastrofiche; in pochi giorni del Bambino non si parlò più.
Questa narrazione, che parrebbe essere unica nell’ambito del folklore contemporaneo, e certo priva della notorietà e della ripetitività della versione dell’autostoppista fantasma profetizzante, in realtà è da considerarsi una classica leggenda, testimoniata sia da fonti molto antiche, sia da narrazioni più recenti. Nel mio Storie di ordinaria falsità (BUR, Milano 2004), a proposito della diffusione della Sars nei primi mesi del 2003 in Estremo Oriente, riportavo una storia circolata con insistenza nelle regioni meridionali cinesi del Guangdong e del Fujian in piena epidemia. Ne riferiva Marco Lupis su La Repubblica del 10 maggio 2003 : un neonato avrebbe parlato e dispensato rimedi contro il virus. Ma secondo un articolo de La Stampa del 16 maggio, il bambino avrebbe anche sentenziato che “la Sars è l’apocalisse”. Lo sottolineava Yu Guancun, giornalista di un quotidiano di Pechino, aggiungendo che si diceva anche che aveva parlato una persona muta dalla nascita annunciando la fine del mondo.
La versione cinese ricorda almeno un’altra storia ambientata in Uganda nel giugno 1992. Un cavallo dotato di favella avrebbe seminato il terrore in un villaggio, annunciando che l'Aids era una punizione per il mancato rispetto dei dieci comandamenti biblici e che l'Uganda avrebbe conosciuto una grande carestia. La notizia fu diffusa dalla radio pubblica ugandese. Con una “potente voce terrificante”, il cavallo si era rivolto agli abitanti del villaggio di Kyabagala, e, secondo la radio, sarebbe morto qualche ora dopo. Lo riferiva il quotidiano francese Nice-Matin del 30 giugno di quell’anno.
Esiste tuttavia una storia ancor più recente che ricalca l’episodio campano del Bambino profetizzante. La notte del 22 agosto 2012, secondo quanto riferito da sito indiano OneIndia News, centinaia di persone erano rimaste sveglie a Hyderabad e in altre località dello Stato dell’Andhra Pradesh a causa di una paurosa profezia. Un messaggio pervenuto sui telefoni cellulari avvertiva di un “bambino divino” che poche ore dopo la nascita aveva detto ai suoi genitori che coloro che si sarebbero addormentati erano destinati a morire.
Secondo alcune versioni, il bambino aveva più di quattro arti e profetizzava un imminente giorno del giudizio. FInalmente, trascorsa la notte, la gente iniziò a tranquillizzarsi. Lo stesso fenomeno era stato segnalato quasi sei mesi prima in altre parti dell'Uttar Pradesh. Ancor più sorprendente quanto raccontato negli stessi giorni nei distretti di Krishnagiri e Dharmapuri, nello Stato meridionale del Tamil Nadu. Anche qui le parole innaturali di un bambino avevano suscitato grande preoccupazione. Si diceva che un neonato aveva spiegato ai genitori che sarebbe morto entro 24 ore, non prima, tuttavia, che fossero uccisi altri 4000 bambini. Questa voce ebbe un così grande impatto che in vari templi induisti furono organizzate cerimonie per il benessere dei bambini nati in quel periodo.
Ma torniamo alle considerazioni di Paolo Apolito inerenti gli episodi campani del 1980. Per lui, le narrazioni di quel periodo avevano al centro il rapporto dei protagonisti con i morti.
La Vecchia profetizza in un viaggio, dopo essere stata raccolta per strada, dove in seguito scompare. Ciò mostra il contesto metaforico di mediazione tra vivi e morti in cui si svolge la profezia: non in un posto stabile dei vivi, né in un luogo dei morti, ma lungo il confine rappresentato dal viaggio, dal viaggiare, simboli arcaici della morte.
Il Bambino che parla e muore subito dopo rivela anch’esso una appartenenza ai morti. I particolari delle varianti sono istruttivi: spesso ha la faccia da vecchio perché contiene in sé paradigmaticamente tutta la vita umana, nei due segni nato-morto (bambino-vecchio) di cui è portatore (…); i denti rappresentano anch’essi un’immagine dello stesso segno; l’occhio chiuso e l’occhio aperto rivelano la sua condizione di mediatore, di chi sta tra i vivi e i morti, tra chi “vede” e chi “non vede”.
Sempre secondo Apolito, non era tanto rilevante la profezia in sé, quanto la narrazione collettiva di essa. “Quando le fonti ufficiali – prosegue - divennero assenti, ecco l’emergere di immagini arcaiche. Ciò che era importante è che si parlava e si allontanava con ciò la paura, attraverso un ritrovarsi collettivo. D’altra parte la previsione del giorno e dell’ora esatti era una garanzia che il terremoto non sarebbe più arrivato all’improvviso. Ci si poteva, in sostanza, preparare. (…) La profezia - conclude l’antropologo - rivela un meccanismo collettivo di autorassicurazione e di controllo rituale del tempo analogo a quello dell’arcaico lamento funebre.”
Sulle stesse narrazioni paiono rilevanti anche i commenti di un altro antropologo, Marino Niola. Le presenta nel volumetto Il capotopo e altre storie. Leggende urbane napoletane, supplemento al n. 11 della rivista Itinerario (1990). Per Niola, la leggenda della vecchina profeta autostoppista presenterebbe motivi ben noti ricorrenti nel mito e nella favola: l’incontro con un essere soprannaturale che mette alla prova il protagonista (richiesta di autostop), con successiva ricompensa per la sua generosità - la rivelazione di accadimenti futuri.
Prevedere il futuro - sottolinea Niola - significa in un certo senso determinare un destino, un fato. Per questo, la vecchia del terremoto è, in realtà, una vera e propria fata. Le fate del nostro folklore, discendenti delle Parche, sono, come queste, le custodi del destino umano. Lo dimostra il nome stesso: fata, plurale di fatum, il destino. In molte mitologie questi esseri determinano il destino di un viaggiatore cui appaiono offrendogli una scelta dalla quale dipenderà l’esito benefico o malefico del suo viaggio. È proprio ciò che fa la buona vecchina che appare al viaggiatore in questa storia dove tre tempi – passato, presente, futuro – si incrociano e dove il futuro appare già contenuto interamente nel passato.
Prima di concludere, per comprendere meglio l’ambito in cui ci muoviamo, ritengo sia utile riportare un’analisi sulle “profezie del bambino mostruoso” nell’antichità operata da Tommaso Braccini, che ha la cattedra di Filologia classica all’Università di Siena. Le discute nel suo saggio “Alla ricerca di ‘leggende contemporanee’ in Grecia e a Roma: una rassegna e qualche nuova proposta”, pubblicato sul numero 6 di FuturoClassico (2020).
Braccini ricorda un racconto riportato nel Libro delle meraviglie di Flegonte di Tralle, scritto nel II sec. della nostra era, sotto l’imperatore Adriano, di cui peraltro lo stesso Braccini ha curato l’edizione uscita presso Einaudi nel 2013.
In Etolia, regione della Grecia, un certo Policrito era morto tre notti dopo essersi sposato. La moglie aveva generato un figlio postumo, caratterizzato dal tratto mostruoso dell’ermafroditismo. Mentre si palesava la decisione di sopprimere entrambi, comparve lo spettro di Policrito, avvolto in una veste nera, che cercava di persuadere i suoi concittadini a non far del male al bambino e a consegnarglielo per tornare nell’Oltretomba. Poiché gli astanti tergiversavano, lo spettro afferrò il bambino, lo divorò tutto tranne la testa, e scomparve.
La testa del bambino, rimasta sul terreno, prese a profetare in versi: nel giro di un anno, una terribile sventura con numerosi morti avrebbe colpito Locresi ed Etoli. La testa esortava tuttavia gli astanti a non seppellirla, ma a esporla piuttosto alla luce del sole nascente, e poi ad abbandonare la regione per recarsi ad Atene: solo così avrebbero avuto qualche speranza di salvezza. L’anno successivo - conclude la narrazione - vi fu una guerra tra Etoli e Acarnani, con grande strage da entrambe le parti.
Braccini prende nota di parecchi parallelismi con altre narrazioni che vedono protagonisti infanti o feti dotati di parola.
Una prima analisi fa supporre che questa storia abbia avuto una diffusione più ampia, nel tempo e nello spazio: neonati mostruosi (con la pelle nera, con il volto di un teschio, dotati di tre teste, tre gambe e tre braccia) che spariscono dopo aver vaticinato sventure sono per esempio attestati nel mondo germanico alla fine del Cinquecento, dove queste vicende mirabolanti erano diffuse, oltre che oralmente, anche tramite fogli volanti a stampa e incisioni. Anche nell’Inghilterra tra Cinque e Seicento erano diffusi opuscoli e ballate che trattavano di neonati mostruosi (comparsi, si diceva, nelle Fiandre, in Olanda, persino a Ferrara) che avevano fatto predizioni di sciagura per poi, spesso, morire o scomparire.
Insomma, la nostra Vecchia, ma ancor più il Bambino profetizzante hanno radici antichissime e i nostri tempi, per certi aspetti, si alimentano a volontà, ancoras nel 2020, delle mitologie più remote.
Viene in mente il ritornello finale di una canzone americana del 1965, Laurie, di Dicky Lee, dedicata proprio all’autostoppista fantasma: strane cose accadono in questo mondo!
Commentaires