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Immagine del redattoreRedazione

Il vibratore ad api di Cleopatra

Aggiornamento: 15 set



Chi ha inventato il primo vibratore della storia? Secondo una leggenda assai diffusa su Internet, l’idea sarebbe venuta addirittura a Cleopatra, che avrebbe costruito di persona il primo rudimentale strumento di questo tipo. Lo racconta, ad esempio, uno psichiatra e sessuologo come Marco Rossi, che nell’estate del 2012 sosteneva su Twitter:


Cleopatra possedeva forse il primo vibratore della storia. Era un contenitore con forma fallica con dentro api vive che muovendosi vibravano.

Si tratta, ovviamente, di una leggenda, che ricorda vagamente quelle sull’uso di animali come strumento di piacere (la più famosa è forse il cosiddetto gerbilling, che avrebbe coinvolto addirittura un attore del calibro di Richard Gere). Per quanto riguarda il vibratore ad api della regina d’Egitto, invece, si direbbe una storia diffusasi solo negli ultimi decenni. Diverse fonti che smontano la diceria ne attribuiscono - se non l’invenzione vera propria - perlomeno la sua promozione alla sessuologa e psicologa clinica americana Brenda Love, che alla vicenda dedicò poche righe (però assai citate) in una delle sue opere di maggior successo, The Encyclopedia of Unusual Sex Practices. Uscita nel 1992, è stata ristampata in inglese parecchie volte ed è stata tradotta come minimo in spagnolo, portoghese, francese, tedesco e giapponese.


In una voce dell’enciclopedia dedicata alla “formicofilia”, Love scriveva (p. 315):


Si dice che Cleopatra avesse una scatoletta che poteva essere riempita di api e posta contro i genitali per ottenere una stimolazione simile a quella dei vibratori.

Tutto qui. Nessun altro dettaglio e, soprattutto, nessuna fonte, in un libro che ha meno di trent’anni. Da notare, comunque, che in questa versione il sex toy bimillenario era accreditato di capacità di stimolazione esterna. Non si parlava, come invece è poi diventata la norma di questa leggenda, di involucri simulanti un pene in erezione pensati per la penetrazione.


Da allora in poi l’attribuzione a Cleopatra dell’invenzione del vibratore si è diffusa a macchia d’olio malgrado la totale mancanza di qualsiasi documento antico a riguardo, se non l’appello alla tradizionale retorica sulla donna potente e mangiauomini. Una fama, quella della regina d’Egitto, che risale a tempi antichi: uno dei più interessanti documenti a riguardo è rappresentata da un falso del XVII secolo, le cosiddette lettere a Sorano.

Questi testi - che si diceva fossero stati rinvenuti incisi nel bronzo all’interno della tomba di Cleopatra - avrebbero documentato la corrispondenza fra Antonio e il medico Sorano di Efeso (in realtà vissuto circa 150 anni dopo Antonio). In queste lettere il politico romano chiedeva consigli al medico per arginare le eccessive pretese erotiche di Cleopatra. Ad esempio, in un’occasione la regina si era recata in un bordello dove aveva avuto rapporti con 106 uomini in una solo notte, ma era comunque tornata a palazzo insoddisfatta; un’altra volta, il tentativo di mantenersi casta l’aveva fatta ammalare, ecc. Sorano aveva prescritto a Marco Antonio un unguento che, sciogliendosi durante l’atto sessuale, avrebbe lasciato Cleopatra completamente soddisfatta; in un’altra lettera, infatti, la regina ringraziava il medico per l’aiuto dato a Marco Antonio, e per averle permesso così di rimanergli fedele...


Oggi sappiamo che questa supposta corrispondenza, che pure ebbe ampissima diffusione, non era altro che uno degli innumerevoli falsi letterari comparsi in epoca rinascimentale dovuti all’interesse di massa per la classicità esploso in tutta Europa, probabilmente opera dello scrittore svizzero-tedesco Melchior Goldast (1578?-1635). La storia dettagliata delle pseudo-lettere a Sorano è ricostruita in questo saggio della classicista Ann Hanson.


La scelta di Cleopatra come artefice del vibratore, quindi, riecheggia storie ben più antiche che l’hanno consacrata come “idolo erotico” di tante generazioni; una fama che forse potrebbe affondare le sue radici già nella damnatio memoriae decisa dal Senato di Roma nel 30 a. C. contro Antonio, dopo il suicidio suo e della sua compagna.


Ma torniamo invece al nostro vibratore ad api. In questi ultimi venticinque anni o poco più, le menzioni più o meno convinte di questa storia sono diventate innumerevoli, in Italia e nel mondo. In questo caso, addirittura, per la comparsa del “tubo riempito di api” si dà un anno preciso: il 54 a. C.! Qui l’anno è lo stesso ma, oltre al “tubo di zucca”, c’è la possibilità che la regina usasse “un tubo di papiro”... e così via.


Philippe Brenot, psichiatra e antropologo, in una storia a fumetti della sessualità pubblicata nel 2017 insieme a Laetitia Coryn, accredita invece la versione dell’involucro fatto di zucca, quella “a bottiglia” (Calabash), sempre ripiena delle malcapitate api vibranti.


Se dovessimo giudicare da questo quadro, non potremmo che condividere la linea generale degli studiosi di leggende metropolitane: quella per la quale il mito del vibratore di Cleopatra sarebbe una leggenda nata in tempi recenti e, in particolare, che sia da collegare alla caduta dei tabù tradizionali sulla sessualità avvenuta in Occidente a partire dalla fine degli anni ‘50 del secolo scorso e all’esplosione dei movimenti femministi.


In questo senso, non dobbiamo trascurare che le menzioni del sex toy della regina egiziana a volte coincidono con quelle che - appunto - promuovono la percezione di Cleopatra come una femminista ante litteram, con una sua sessualità autonoma che prescinde dal fantasma maschile della donna sempre desiderabile e disponibile ad ogni richiesta.


Noi del CeRaVoLC, però, abbiamo scoperto un debole indizio che potrebbe - forse - indicare un significato e un percorso piuttosto diversi per questa diceria sulla regina più famosa dell’antichità classica.


Il 28 febbraio 1914, il quotidiano newyorkese The Evening World pubblicò l’ennesimo episodio della rubrica “Novelettes of New York Streets”, che era firmata dalla scrittrice Ethel Watts Mumford (1876?-1940).


Si trattava di “The Antique World”, e narrava le bizzarrie e le storie che circolavano sul conto della signora Isolde Bloom, una curiosa figura di rigattiera titolare di un negozio sulla Fourth Avenue di New York. Tale era il piacere di ascoltarla, scriveva Mumford, che


I suoi clienti o li accettavano (i suoi racconti, N.d.A.) come il vangelo, oppure compravano da lei per il mero fascino delle sue narrazioni. Era capace di vendere la cornetta del telefono della regina Elisabetta [ovviamente il riferimento è a Elisabetta I la Grande, N.d.A.] oppure il vibratore per massaggi (“massage vibrator”) di Cleopatra. Tutto faceva parte del business dell’antiquariato.

Ora, noi non sappiamo se la signora Isolde Bloom sia stata una persona in carne ed ossa, e tanto meno se davvero, per fare affari, raccontasse alle clienti del massage vibrator di Cleopatra. L’espressione usata non tragga in inganno: si trattava di un eufemismo con cui veniva indicato in pubblico il sex toy di cui stiamo parlando. Sino agli anni ‘70 la denominazione era corrente anche in Italia.


A quanto pare, dunque, l’idea di un vibratore associato a Cleopatra sembra avere una storia assai più lunga di quello che si pensava: più di un secolo!


Forse persino più rilevante rispetto alla sua “vecchiaia” è che la storia sembrerebbe esser nata in un contesto differente da quello delle fonti più recenti. A partire dal 1880 circa, infatti, fecero la loro comparsa sul mercato diversi “massaggiatori elettrici” a fini salutistici (pensati, cioè, per il massaggio di reni, muscoli, ecc). Secondo un’interpretazione recente, proposta da Rachel P. Maines in The Technology of Orgasm: "Hysteria”, the Vibrator, and Women's Sexual Satisfaction, (Johns Hopkins University, 1999) questi primi vibratori avrebbero già avuto una connotazione sessuale: sarebbero stati pensati, cioè, come mezzo per facilitare il lavoro dei medici nella cura della cosiddetta isteria femminile. Un mezzo automatico, cioè, per provocare automaticamente un “parossismo” (cioè un orgasmo) alle pazienti, con l’idea che questo avrebbe avuto un effetto benefico sulla loro salute.


L’ipotesi (che la stessa autrice però riconosce come tale) non è condivisa dalla maggioranza degli altri esperti del campo, come dimostra ad esempio questo articolo pubblicato in una rivista di settore (ma altri contributi sono disponibili qui e qui). A parere degli oppositori della Maines, i vibratori non sarebbero nati per curare l’isteria femminile, ma come massaggiatori generici, poi utilizzati ad altro scopo rispetto a quello per cui erano stati originariamente pensati. Alle tesi della Maines, oppongono il fatto che non esistano citazioni del massaggio vulvare come cura per l’isteria, e che The Technology of Orgasm non fornisca alcun riferimento documentale a supporto della sua ipotesi. Più probabile invece che la sessualizzazione dell’oggetto sia avvenuta solo in un secondo tempo: dopo l’invenzione di questi massaggiatori, in maniera sporadica e spontanea, ci sarebbe stato un passaggio progressivo verso il loro impiego a fini erotici - un impiego che al tempo in cui Ethel Mumford pubblicò l’articolo che contiene il riferimento che ci interessa (1914) doveva essersi già manifestato.


Al di là dell’ampia controversia sulla genesi dei vibratori moderni, sta di fatto che i “vibratori per massaggi” all’epoca esistevano già da un pezzo. È quindi possibile che il riferimento fatto da Mumford nel 1914 possa riguardare proprio una prima, scarna, versione del nostro sex toy ad api di Cleopatra.


Se le cose stanno davvero così, allora è altamente probabile che ci siano altre fonti anglosassoni che menzionano la leggenda nel corso del XX secolo, e comunque prima degli ultimi trent’anni. L’argomento per i tempi era scabrosissimo: averne trovato una traccia scritta nel 1914, anche se poco esplicita, fa pensare che con ricerche più ampie si potrebbero individuare altri riferimenti. Se così fosse, la storia del vibratore di Cleopatra potrebbe essere molto più lunga di quanto si è pensato finora.



Immagine in evidenza: Theda Bara, (Theodosia Goodman, 1885-1955), vamp per eccellenza del cinema muto, in "Cleopatra", nel 1917 portò sullo schermo il mito della regina mangiauomini.

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