Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo
Sono sconcertanti, fanno impressione, lasciano perplessi anche i più distaccati. Sono i fenomeni in cui un gran numero di individui, esposti a notizie incontrollate e a voci su eventi difficili da spiegare, cominciano a raccontare in massa episodi simili. Sono le ondate di panico e di eccitazione collettiva per qualcosa di misterioso, di insolito, di preoccupante – quelle che un tempo si chiamavano “epidemie isteriche” o “isterismo di massa”, termini entrambi abbandonati da decenni e decisamente da evitare.
Su di essi esiste una produzione scientifica molto vasta in più ambiti disciplinari. Gli episodi censiti e le tipologie considerate crescono di anno in anno: dalle ondata di avvistamenti Ufo a quelle di apparizioni religiose, dagli svenimenti collettivi nelle scuole ai comportamenti imitativi di ogni genere, dalle manie per i travestimenti al pensare che nei supermercati ci siano prodotti avvelenati; e così via, in un elenco infinito.
Ma c’è un episodio fra tutti che ritorna in un gran numero di manuali di psicologia sociale, di sociologia o sul comportamento collettivo. È il mistero dell’anestesista fantasma di Mattoon, Illinois, noto anche come Anesthetic Prowler, l'intruso-che-anestesizza.
Nella prima metà del settembre 1944 in quella cittadina, che contava sedicimila abitanti, furono riferiti alla Polizia circa venticinque episodi di attacchi notturni contro le abitazioni. Erano condotte con un ipotetico “gas velenoso” che faceva sentir male – ma non troppo – le presunte vittime di queste aggressioni. Al contempo, si ebbero decine di segnalazioni di “figure sospette” e di “ombre” che si aggiravano nel buio intorno agli edifici.
Dopo i timori iniziali, la vicenda fu rapidamente ricondotta alla sua natura: un evento psicogeno, che assunse rapidamente lo status di esempio per eccellenza del fenomeno dei panici collettivi, tanto intensi quanto veloci a scomparire. Il “gassatore folle di Mattoon”, o il “fantasma anestesista di Mattoon”, come fu chiamato, diventò celebre nella comunità scientifica grazie allo psicologo sociale Donald M. Johnson, che ne scrisse nel 1945 sul Journal of Abnormal Psychology. Da allora, grazie a Johnson, l’evento di Mattoon diventò un caso di riferimento in manuali e trattati di psicologia sociale.
Il “caso zero”
Grazie anche al fatto che fu molto studiato, il panico collettivo di Mattoon ha un’altra caratteristica, rispetto ad altri fenomeni simili. Si tratta di un’ondata collettiva di paura in cui è possibile individuare in maniera ragionevole un “punto zero”, cioè un evento scatenante iniziale sul quale si concentrò l’attenzione dei media locali e dal quale partì poi una serie di azioni e reazioni a catena.
Intorno alle 23 del 1° settembre 1944 Aline Kearney era andata a dormire. Nella stanza c’era la figlioletta Dorothy, tre anni. Il marito (Bert, taxista) era fuori per lavoro, e la sorella della donna, Martha, dormiva nella stanza di fronte con la figlia maggiore di Aline. Un terzo figlioletto maschio si trovava in una stanza sul retro della costruzione. Ad un tratto Aline percepì un odore dolciastro, sgradevole, ma pensò che fossero le gardenie poste sul davanzale della finestra aperta. Chiamò comunque la sorella, che però non sentì nulla, e si ritirò in camera sua. Rimasta sola, Aline cominciò a sentire la bocca e la gola secche, mentre le labbra le bruciavano. In più, cominciò a percepire un intorpidimento agli arti inferiori. Si mise a gridare spaventata; la sorella accorse e a questo punto anche a lei parve di sentire “uno strano odore”. Aline le disse che si sentiva le gambe paralizzate. La sorella, allora, corse da una vicina che mise in moto il meccanismo dell’intera vicenda: chiamò la polizia dicendo che la casa era stata attaccata con un gas.
I poliziotti arrivarono rapidamente ma non trovarono nulla di insolito. Ma non era finita. Aline si spaventò di nuovo vedendo “la sagoma di una persona” vicina alla finestra della camera da letto. La polizia tornò sul posto, ma, anche stavolta, niente. La “sensazione di paralisi” era durata mezz’ora ed era scomparsa senza bisogno di nessun intervento medico. Nessun altro di coloro che si trovavano nella casa – si noti – aveva avvertito qualcosa di strano e, men che meno, malesseri di qualche tipo.
All’alba la storia giunse al giornale locale, il Daily Journal Gazette and Commercial Star, che subito s’impadronì della notizia, dando origine a una copertura tanto minuziosa quanto allarmistica della vicenda.
La memoria si ridefinisce…
Quando il Journal Gazette pubblicò la sua notizia con titoli e toni enfatici (qui a fianco una ricostruzione della scena fatta dai giornalisti), successe un fatto curioso. Si fecero avanti diverse persone che sostenevano di aver vissuto la stessa esperienza, ma prima di lei. Solo ora, dicevano, visto che si era capito di che cosa poteva trattarsi (gas velenosi iniettati nelle case da qualcuno) avevano trovato il coraggio di farsi avanti. Si ebbe così rapidamente notizia di altri quattro episodi. Il quotidiano aveva fornito la cornice narrativa per la ridefinizione di ricordi vaghi e di sensazioni contraddittorie di altre persone: in questo modo le testimonianze andarono rapidamente moltiplicandosi.
Aggressore anestesista a piede libero, fu il titolo a caratteri cubitali. Il contrasto con la realtà riscontrabile era clamoroso: sintomi passeggeri, nessun ricovero, nessun ricorso diretto delle persone ai propri medici, tutti al lavoro o ad attendere ai propri doveri quotidiani. Se fosse stato davvero iniettato un gas tossico, o addirittura dell’iprite (come sospettavano parecchi sulla base dei ricordi tragici della Prima Guerra Mondiale), le conseguenze sarebbero state ben altre, e decisamente misurabili e quantificabili.
Furono i titolisti del Journal Gazette a creare la figura dell’aggressore anestesista (“Anesthetic prowler”). Nella gran parte dei casi, i testi degli stessi articoli non menzionano la presenza di intrusi, né in modo diretto né indiretto. La stessa signora Kearney, i cui racconti avevano dato origine al panico, non menzionò mai un “aggressore” misterioso, ma solo i sintomi: al massimo, nel suo caso, i resoconti accennarono a “un’ombra” intravista in un secondo momento.
L’esplosione
Dal giorno 5, intanto, anche i giornali più grandi, quelli di Chicago, si erano impadroniti della storia, troppo ghiotta per esser lasciata da parte. Da una decina di giorni Parigi era stata liberata dagli alleati, e i tedeschi ripiegavano rapidamente verso il Reno. Non si dimentichi una cosa. Fra il 7 e l’8 settembre 1944, prima su Parigi e poi su Londra, i tedeschi cominciarono ad usare una nuova arma, più terrificante delle altre: l’enorme missile balistico V-2. Lo sbigottimento fu enorme, e giunse proprio al momento giusto per far precipitare la situazione a Mattoon: il timore era che spie naziste stessero cercando di vendicarsi degli alleati, colpendo gli Stati Uniti sul loro stesso territorio con armi subdole e potenti. Gas, sabotaggi o avvelenamenti delle acque potabili erano ipotesi sulla bocca di tutti. Fra il 30 agosto e il 1° settembre, ossia nelle settantadue ore che precededettero il “caso zero”, anche i quotidiani dell’Illinois riferirono nei dettagli queste preoccupazioni (Robert Bartholomew, Hilary Evans, Outbreak! The Encyclopedia of Extraordinary Social Behavior, Anomalist Books, San Antonio-New York, 2009, p. 354).
Poche ore prima che il fenomeno iniziasse, l’agenzia Associated Press scriveva in un suo dispaccio nazionale:
Se qualche estremista nazista dedito al “vincere o morire” dovesse far ricorso ai gas contro la popolazione civile in un ultimo tentativo di resistere, gli Alleati sarebbero in grado, grazie alla supremazia aerea, di inondare coi gas le città tedesche… [Tuttavia] le voci ricorrenti secondo le quali i tedeschi starebbero per iniziare una guerra condotta coi gas, non sono state finora commentate [a Washington].
In questo clima di paura, alcuni episodi estremi diventano comprensibili. L’8 settembre a Mattoon si diffuse la voce che l’anestesista fantasma fosse stato visto in Dewitt Avenue. Si riunì una piccola folla di circa settanta persone. Qualcuno disse a voce alta di sentire “uno strano odore”, e presto molti altri si convinsero di essere stati gassati. Due giorni dopo centinaia di persone minacciose si riunirono davanti al municipio: quando un’auto della Polizia cittadina si mosse, un vero corteo le andò dietro, convinto che fosse sulle tracce del colpevole.
Intanto, il numero di casi raggiungeva il picco. Il 9, due sorelle denunciarono che casa loro era stata attaccata più volte dal gassatore, e tutto in poche ore. Non avevano visto l’aggressore, ma giunsero a farsi ricoverare brevemente in ospedale; furono rapidamente dimesse con la diagnosi di “tensione nervosa”. La paura era giunta al culmine.
Il crollo
Così come la mania era sorta nel giro di un paio di giorni, allo stesso modo il cumulo di illazioni e di vaghe testimonianze si sgretolò. L’11 settembre 1944 un piccolo esercito di poliziotti e di volontari pattugliava ogni angolo di Mattoon, e tutto quello che emergeva erano falsi allarmi. Il fenomeno “strano”, messo di fronte ai controlli, diventava evanescente. Rappresentanti e forze dell’ordine presero a parlare di “isteria di massa”.
I poliziotti, allertati in pochi minuti dalle chiamate, trovarono rapidamente i “colpevoli”: una bottiglia di latte andata a male, un uomo che di notte cercava di aprire rumorosamente la sua auto, un gatto su una veranda…
Il 14 settembre, con la costante pubblicazione delle spiegazioni da parte delle forze dell’ordine e la mancanza di qualsiasi riscontro oggettivo, i casi sostanzialmente cessarono. Si noti che già dal giorno 11 erano diventati rari i casi in cui erano descritti “sintomi di avvelenamento da gas” (peraltro del tutto soggettivi e pronti a scomparire in pochi minuti).
Una conseguenza sociale della breve mania collettiva di Mattoon fu che i media dei grandi centri urbani (dopo aver rilanciato ogni minima notizia sul “fenomeno”, riprendendola dalla stampa locale) nella seconda metà del mese cominciarono a prendersi gioco dei suoi abitanti.
Un paio di interventi furono degni di nota. Il Chicago-Herald American, che aveva dato credito alle testimonianze e alle ipotesi più allarmistiche, nel momento in cui saltò fuori che non esisteva alcuna evidenza di uno o più “anestesisti”, fra il 13 e il 21 settembre 1944 lasciò la parola a uno psichiatra di Chicago, Harold Hulbert. Questi inquadrò l’episodio nel contesto “isterico” e, per la prima volta, lo paragonò ad episodi simili già avvenuti. I toni erano paternalistici e autoritari, ma la cornice complessiva era quella più adeguata agli eventi. Il 26 settembre un ufficiale dell’Esercito, che si occupava di addestramento delle truppe agli attacchi con gas, scrisse invece al Daily-Gazette che il quadro descritto non era coerente con quanto si sapeva delle dinamiche della guerra chimica; ma che almeno, ormai, gli abitanti di Mattoon potevano disporre di nozioni sul tema superiori a quelle di tanti soldati impegnati nei fronti di guerra…
Uno dei maggiori periodici del tempo, il Time, il 18 settembre pubblicò un commento anonimo con il quale si prendeva gioco della cittadina dell’Illinois: i sintomi denunciati erano transitori e consistevano in nausea, mal di testa, paralisi temporanee (brevi o brevissime) senza alcun riscontro clinico: tutto sparito senza nessun intervento medico. L’altro sintomo descritto dal Time era interessante, al di là dei toni d’irrisione verso i protagonisti della vicenda. Si trattava di:
un desiderio di descrivere le loro esperienze in dettagli minutissimi.
Il bisogno di essere creduti, ascoltati e presi in considerazione aveva generato resoconti lunghi e accurati, ricchi di virgolettati, in cui al primo posto c’erano le sensazioni provate dalle vittime dell’aggressore imprendibile.
Riletture “anomalistiche” della mania di Mattoon
Oltre ad esser diventato un classico della psicologia sociale (e in particolare del contagio informativo e della sua influenza sulle percezione e sulla reinterpretazione degli eventi), l’episodio di Mattoon è interessante per un altro motivo.
Questa storia, che nasceva in un contesto ben preciso (i timori per la presenza di un criminale o di agenti stranieri sul suolo americano) venne poi cannibalizzata da alcuni appassionati di fenomeni misteriosi e persino da qualche ufologo.
Qualche esempio tra i tanti. Si ritrova la vicenda di Mattoon nei testi di cosiddetti “fortiani” come Loren Coleman (Mysterious America, Faber & Faber, Winchester, Massachusetts, 1983) o Michael T. Shoemaker (Fate, vol. 38, n. 6, giugno 1985), oppure di ufologi considerati seri (ma che della realtà degli Ufo e di mille altre stranezze sono convinti, sia chiaro) come Jerome Clark (Unexplained!, Farmington Hills, Michigan, Visible Ink, ediz. 2012). In questi casi la logica è quella caratteristica delle pseudoscienze: nella migliore delle ipotesi panici di massa come quello di Mattoon, che mescola voci sulla presenza di individui sconosciuti con effetti fisiologici ambigui, sono collocati nel calderone dei “crimini irrisolti”; nella peggiore, in quello del semi-soprannaturale e della passione minuziosa per gli incontri con entità misteriose (alieni, fantasmi, animali sconosciuti, mostri e personaggi di ogni genere).
In altri termini, una forma di parassitosi intellettuale.
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