Articolo di Paolo Toselli
In un periodo in cui la realtà ha superato ampiamente gli scenari più destabilizzanti che la nostra fantasia aveva finora ipotizzato, proprio quando avremmo bisogno di informazioni semplici e chiare, siamo bombardati da notizie contrastanti e contraddittorie che dicono tutto e il contrario di tutto. Nessuno si salva: fonti autorevoli o meno, canali istituzionali o di controinformazione, autorità governative, politiche e scientifiche, testate giornalistiche o blogger improvvisati.
In questo cortocircuito divulgativo, capita che consigli attribuiti a fonti accreditate non siano proprio quello che sembravano essere.
Un episodio esemplare è rappresentato da un “decalogo” su come difendersi dal Covid-19 che ha iniziato a circolare su WhatsApp e Facebook a fine marzo. Di seguito il testo integrale:
La Johns Hopkins University ha inviato questo eccellente riassunto per evitare il contagio, condividilo perché è molto chiaro: - Il virus non è un organismo vivente, ma una molecola proteica (DNA) coperta da uno strato protettivo di lipidi (grassi) che, se assorbito dalle cellule della mucosa oculare, nasale o della bocca, modifica il loro codice genetico. (mutazione) e li converte in cellule di moltiplicatori e aggressori. - Poiché il virus non è un organismo vivente ma una molecola proteica, non viene ucciso, ma decade da solo. Il tempo di disintegrazione dipende dalla temperatura, dall’umidità e dal tipo di materiale in cui si trova. - Il virus è molto fragile; l’unica cosa che lo protegge è un sottile strato esterno di grasso. Ecco perché qualsiasi sapone o detergente è il miglior rimedio, perché la schiuma ROMPE IL GRASSO (ecco perché devi strofinare così tanto: per almeno 20 secondi o più, e fare molta schiuma). Dissolvendo lo strato di grasso, la molecola proteica si disperde e si scompone da sola. - Il CALORE scioglie il grasso; quindi usare acqua a temperatura superiore ai 25 gradi per lavarsi le mani, i vestiti e tutto il resto. Inoltre, l’acqua calda produce più schiuma e ciò la rende ancora più utile. - L’alcool o qualsiasi miscela con alcool superiore al 65% DISSOLVE QUALSIASI GRASSO, in particolare lo strato lipidico esterno del virus. - Qualsiasi miscela con 1 parte di candeggina e 5 parti di acqua dissolve direttamente la proteina, la scompone dall’interno. - L’acqua ossigenata aiuta molto dopo sapone, alcool e cloro, perché il perossido dissolve le proteine del virus, ma devi usarlo puro e fa male alla pelle. - NIENTE BATTERICIDI. Il virus non è un organismo vivente come i batteri; non si può uccidere con gli antibiotici ciò che non è vivo, ma disintegrare rapidamente la sua struttura con tutto ciò che è stato detto. - NON scuotere MAI abiti, lenzuola o indumenti usati o inutilizzati. Mentre è incollato su una superficie porosa, è molto inerte e si disintegra solo tra 3 ore (tessuto e poroso), 4 ore (rame, perché è naturalmente antisettico; e il legno, perché rimuove tutta l’umidità e non la lascia staccare e si disintegra), 24 ore (cartone), 42 ore (metallo) e 72 ore (plastica). Ma se lo scuoti o usi uno spolverino, le molecole del virus galleggiano nell’aria per un massimo di 3 ore e possono depositarsi nel tuo naso. - Le molecole virali rimangono molto stabili nel freddo esterno o artificiale come i condizionatori d’aria nelle case e nelle automobili. Hanno anche bisogno di umidità per rimanere stabili e soprattutto l’oscurità. Pertanto, ambienti deumidificati, asciutti, caldi e luminosi lo degraderanno più rapidamente. - LA LUCE UV su qualsiasi oggetto che può contenerlo rompe la proteina del virus. Ad esempio, per disinfettare e riutilizzare una maschera è perfetto. Fai attenzione, scompone anche il collagene (che è una proteina) nella pelle, causando infine rughe e cancro della pelle. - Il virus NON può passare attraverso la pelle sana. - L’aceto NON è utile perché non rompe lo strato protettivo di grasso. - NIENTE ALCOL o VODKA. La vodka più forte è il 40% di alcol e hai bisogno del 65%. - LISTERINA (è un collutorio americano) SE SERVE! È il 65% di alcol. - Più lo spazio è limitato, maggiore sarà la concentrazione del virus. Più aperto o ventilato naturalmente, meno. - Questo è super detto, ma devi lavarti le mani prima e dopo aver toccato mucosa, cibo, serrature, manopole, interruttori, telecomando, telefono cellulare, orologi, computer, scrivanie, TV, ecc. E quando si usa il bagno. - Devi UMIDIFICARE LE MANI SECCHE ad esempio lavarle tanto, perché le molecole possono nascondersi nelle microrughe o tagli. Più densa è la crema idratante, meglio è. - Conserva anche le UNGHIE CORTE in modo che il virus non si nasconda lì.
Paiono tutti suggerimenti di buon senso, ma qualcosa non torna.
Innanzitutto, si tratta di un elenco tradotto dall’inglese, quasi sicuramente con un traduttore automatico (lo si capisce anche dalla costruzione delle frasi e da alcuni termini non proprio corretti). La Johns Hopkins University è un'università degli Stati Uniti. Si tratta di un istituto privato di Baltimora (Maryland) fondato nel 1876, rinomato per la facoltà di medicina e per i centri di ricerca.
Se però si analizza con attenzione il testo, emergono errori grossolani, il primo dei quali riguarda l’affermazione secondo la quale “il virus è una molecola proteica (DNA)”. Di fatto, il DNA non è una proteina e il Sars-CoV-2 è un coronavirus con un filamento di RNA, non DNA, che - per maggior chiarezza - non è una proteina. Non è consigliabile farsi in casa disinfettanti con miscugli di candeggina: potrebbe essere pericoloso.
Non è vero che il Listerine, una marca di colluttorio (e non “Listerina” come il traduttore automatico dall’inglese all’italiano ha erroneamente reso), contiene il 65% di alcol: nei diversi prodotti in commercio non supera il 30%. Tra l’altro, anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha voluto precisare che non vi è alcuna evidenza che sciacquarsi la bocca con collutori possa proteggere dal Covid-19.
Infine, per citare soltanto alcuni degli ulteriori errori e imprecisioni contenuti nell’avviso, non è ancora dimostrato che in climi più caldi e asciutti il virus degradi più rapidamente.
Ma quello che più conta è che la Johns Hopkins University ha ufficialmente smentito la paternità del comunicato, precisando di non conoscere “l'origine di queste voci, che mancano di ogni credibilità”.
A tal proposito, Tara Kirk Sell, del Center for Health Security della suddetta istituzione, ha sottolineato come a causa di questo tipo di disinformazione
le persone sprecano soldi, pensando di essere protette quando non lo sono e intraprendendo azioni rischiose che sarebbero da evitare, senza omette che queste false cure talvolta possono danneggiare le persone stesse.
Ma allora perché proprio questa università statunitense? Forse perché il suo Coronavirus Resource Center è divenuto noto in tutto il mondo per il conteggio mondiale dei malati e dei morti di Covid-19 che aggiorna in tempo reale sul proprio sito.
A questo punto, si può capire chi ha generato il falso vademecum e quando lo ha inventato?
La versione in lingua italiana, attribuita sempre alla Johns (o “John”) Hopkins University, pare abbia iniziato a circolare lo scorso 25 marzo su WhatsApp e su Facebook.
Già il giorno dopo, il 26 marzo, i siti antibufale Bufale.net e Butac.it bollavano il testo come falso, mentre il virologo Roberto Burioni, su Twitter, lo definiva “l’ultima scemenza”.
Dalle verifiche che abbiamo fatto su Facebook, risulterebbe che uno dei primi a diffondere, senza commento, la sera del 25 marzo le presunte raccomandazioni della "John" Hopkins University col testo integrale sia stato un medico siciliano. Il suo post, alla data del 16 aprile, era stato condiviso 727 volte e aveva ottenuto 223 like e 54 commenti.
Ma non solo i social hanno fatto da cassa di risonanza. Ad esempio, gli “utili consigli” sono stati ripresi integralmente, sempre il 26 marzo, dal sito Oggi Scuola, da Zero Zero News, dal quotidiano online L’Aquila Blog, da Varese Press, ma anche da Politicamentecorretto.com, mentre altri siti lo hanno ripreso il giorno dopo, e, ancora il 6 aprile dal sito L’economico.
Ma ciò che è ancor più interessante è che, a distanza di oltre un mese, nessuna delle suddette testate ha pubblicato precisazioni o rettifiche sulla falsa attribuzione dei “consigli”, né ha apportato modifiche ai testi. Si sono anche verificati episodi “estremi”, come il severo attacco politico, a cui ha dato risalto il sito Savona News, contro il vicesindaco di Ceriale, in Liguria, da parte di un attivista del M5S candidato alla prossime elezioni regionali, che accusava il vicesindaco di aver pubblicato su Facebook il falso appello.
È probabile che una precedente versione del vademecum sia circolata in lingua inglese nella seconda metà di marzo con piccole varianti, attribuita a un medico della Johns Hopkins (un immunologo) oppure a "Irene Ken, la cui figlia è un assistente alla cattedra di malattie infettive alla Johns Hopkins University".
Snopes, il sito web statunitense che da oltre 25 anni è specializzato nell’analisi delle leggende metropolitane, delle bufale e delle fake news, il 30 marzo ha anch’esso etichettato il decalogo come misattributed, ovvero come “erroneamente attribuito”.
È circolato oltralpe, tradotto in francese, più o meno a partire dallo stesso periodo (dal 21 marzo, forse). Un’eccellente disamina, a cui ha contribuito anche la sociologa Veronique Campion-Vincent, è stata pubblicata da Eymeric Manzinali il 24 aprile sul sito Spokus. Vi si apprende che il messaggio è circolato anche in Canada, in Belgio e in Russia, ma ciò che i colleghi francesi hanno evidenziato - ossia che in Cile ci sarebbe stata la prima smentita, il 20 marzo, sul sito de La Tercera, uno tra i quotidiani più diffusi di quel Paese, è estremamente interessante per la ricostruzione dell’origine del curioso vademecum.
Nella versione sudamericana (quasi identica alle altre, comunque) non vi è alcun riferimento alla Johns Hopkins University, ma il messaggio su WhatsApp è attribuito al dott. Patricio Alvendaño, “cardiologo dell’Università del Cile che frequenta la Clinica Alemana di Santiago”, che ne ha prontamente smentita la paternità, bollando il testo come “completamente falso”.
Considerate le date, è probabile che i “consigli pratici” di cui stiamo discutendo abbiano avuto origine in Sudamerica e forse proprio in Cile. Ad esempio, il messaggio in lingua spagnola è presente su Twitter almeno dal 19 marzo, e il post su Facebook pubblicato il 22 marzo da un naturopata cileno ha avuto 9126 condivisioni! Negli stessi giorni è stato diffuso in Bolivia, Colombia, Messico e Guatemala.
A fine marzo, un testo identico è poi comparso anche in Spagna, ma senza l’attribuzione al cardiologo cileno Patricio Alvendaño, tant’è che il 25 marzo le “buone pratiche di prevenzione contro il coronavirus” sono state pubblicate, tal quali, anche sul sito di un’obbedienza massonica, la “Gran Loggia Provinciale delle Isole Canarie”, mentre cinque giorni dopo, sul sito spagnolo Maldita Ciencia, che si batte contro la disinformazione scientifica, è stata proposta una puntuale e approfondita disamina degli ormai famosi “consigli”, sino alla smentita/verifica del 4 aprile su Twitter da parte di AFP Factual (la sezione in spagnolo per la verifica dei fatti dall’Agenzia France Press).
Tra l’altro è da segnalare come in tale lingua il testo del vademecum, nella maggioranza dei casi privo di riferimenti alla fonte, sia reperibile in rete come documento scaricabile nei formati pdf e PowerPoint.
Risalendo la catena, dunque, è assai probabile che i “consigli” siano nati in Sudamerica in lingua spagnola, che siano stati poi tradotti in inglese e successivamente in italiano e in francese - ma anche in portoghese, in tedesco e in altri idiomi.
A tal proposito, potrebbe essere chiarificatore proprio l’incipit del vademecum, ripreso in tutte le lingue: Il virus non è un organismo vivente.
Perché iniziare proprio con questa affermazione? Per attirare l’attenzione, certo, ma sta di fatto che nel mese di marzo, parallelamente alla diffusione dell’epidemia, c’era stata una curiosa ripresa del dibattito sul fatto se i virus siano una forma di vita o meno. Ad esempio, sul sito del quotidiano spagnolo El Pais il 18 marzo è apparso un articolo del genetista Miguel Pita che iniziava proprio così:
Tra le molte informazioni apparse in questi giorni sul coronavirus, mi manca una presentazione generale che spieghi l'esistenza di questi esseri che la maggior parte degli esperti rifiuta di accettare come "esseri viventi".
Ecco che si delinea il meccanismo che ha portato alla costruzione del comunicato - lo stesso di casi precedenti: un mix di informazioni vere, di altre del tutto false e di altre ancora verosimili. Lo stesso miscuglio che ritroviamo in moltissime leggende metropolitane e che rappresenta la loro forza. Non a caso, i consigli della Johns Hopkins University fanno venire in mente il volantino sui “coloranti cancerogeni” circolato a partire da metà degli anni ‘70 del secolo scorso un po’ in tutta Europa.
Se siete stati giovani allora, vi sarà capitato di imbattervi in un laconico comunicato contenente una laconica lista degli additivi contrassegnati con la lettera “E”, ritenuti cancerogeni e accompagnati anche da un elenco di prodotti alimentari di note marche del tempo considerati pericolosi anche quelli. L'elenco dei coloranti nocivi, tra cui primeggiava l'E330 (l'innocuo acido citrico contenuto in natura negli agrumi), era in realtà un insieme di errori grossolani, di improvvisazioni e di mezze verità concepito da qualche ignoto e non, come appare nella testata dello stesso, dalla direzione dell'ospedale Villejuif di Parigi, che negli anni ha più volte smentito la paternità ed il contenuto.
Eppure, è divenuto così famoso da meritarsi una pagina nella versione francese di Wikipedia. A distanza di quasi quarantacinque anni, circola ancora, in tempi più recenti attribuito al Centro antitumori di Aviano, riprodotto per iniziativa di ignari volontari anche sui social e in rete. Ne ho scritto ampiamente nel libro Storie di ordinaria falsità (BUR, 2005) e Stefano Dalla Casa ne ha riassunto la storia nell’articolo “Le leggende metropolitane legate al cancro” pubblicato su Wired poco più di un anno fa.
Proprio come accaduto per lo pseudo-vademecum sul coronavirus, diffuso da marzo in tutto il mondo anche da medici, infermieri e operatori sanitari, lo stesso fu per il volantino di Villejuif. Come spiegò il sociologo Jean-Noël Kapferer (“A Mass Poisoning Rumor in Europe”, in Public Opinion Quarterly, vol. 53, 1989, pp. 467-481), a seguito di un’indagine condotta in Francia nel 1983 su cento medici generici, risultò che la metà di coloro che erano venuti a conoscenza del volantino considerava il suo contenuto autentico, mentre l'altra metà non si era voluta pronunciare al riguardo. L'80% non pensava affatto di informarsi più a fondo per verificarne i contenuti.
Analoga verifica fu fatta tra gli insegnanti delle scuole primarie. Tra coloro cui era noto il volantino, quasi l’85% era d’accordo con i suoi contenuti.
Oggi come ieri, ci ricorda Veronique-Campion Vincent, tale atteggiamento è interpretabile con l’”effetto Golia”, nomignolo coniato dal sociologo statunitense Gary Alan Fine (“The Goliath Effect: Corporate Dominance and Mercantile Legends“, in The Journal of American Folklore, vol. 98, n. 387, 1985, pp. 63-84) per identificare le voci incontrollate e le leggende metropolitane legate a prodotti e aziende e attribuite a operatori e istituzioni dominanti nel loro settore.
Questa definizione si attaglia bene anche alla Johns Hopkins University, leader nel campo della comunicazione e della ricerca sul Covid-19, ma anche agli altri “falsi genitori” delle varie versioni finora circolate.
Come il vecchio volantino di Villejuif nacque subito dopo l’ufficializzazione della codifica unificata degli additivi alimentari adottata dai paesi della CEE e le dure campagne di protesta e boicottaggio delle organizzazioni dei consumatori francesi sulla pericolosità di tali additivi, così i “preziosi consigli” sul Covid-19 sono emersi pressoché in tutto il mondo nel momento di maggior confusione e ricerca di informazioni semplici, tali da evitarci l’attacco di un virus misterioso e destabilizzante, in tutti i sensi.
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