Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo
Beh, non era facile trovare una chiave di lettura che andasse al di là della dimensione pornografica della leggenda concernente la privazione da parte di uomini famosi, per via chirurgica, di una o più coste toraciche in modo da piegarsi fino a praticare in autonomia il sesso orale (in termini colti, autofellatio).
Se la realtà della pratica secondo l'evidenza scientifica è assai rara a causa delle nostre limitazioni anatomiche, è però da quest'ennesimo margine della scienza che si vira decisamente verso la leggenda quando si racconta che alcuni, pur di conseguirne la possibilità, si sarebbero sottoposti a interventi comportanti l'asportazione di una o più serie di coste.
Prima che sorgessero queste dicerie, però, ne circolavano altre, probabilmente sorte in epoca vittoriana - quando il "vitino di vespa" femminile accentuato dai corsetti era assai ambito - che narravano di una volontaria privazione chirurgica di costole, ma per fini estetici. Nei primi decenni del XX secolo, sul versante femminile a quelle originarie ne seguirono parecchie altre.
Allo stesso modo, non c'entrano se non in modo indiretto con ciò di cui ci occupiamo neppure vicende estreme come quella dell'anglo-brasiliano Rodrigo Alves, definito da alcuni come un probabile esempio di dismorfofobia, anche lui privatosi di alcune costole a scopi estetici.
Gli esempi della leggenda della rimozione delle coste per l'autofellatio nello show-biz dei decenni più recenti sono tanti, ma proprio per questo non possiamo omettere da un piccolo campionario il più classico racconto goliardico italiano di questa categoria, quello relativo a Gabriele D'Annunzio, la cui intensa vita erotica e la decadenza ostentata in letteratura e sui media sono stati accompagnati, nei corridoi dei licei del nostro Paese, dai sussurri sul suo preteso intervento.
Uno dei punti interessanti della leggenda dannunziana è che pare difficile reperire fonti scritte "antiche". La stampa "seria" ovviamente non la menzionava, i filologi e gli storici della letteratura dei tempi che furono non l'avrebbero mai neppure sfiorata, e dunque c'è da credere che essa sia davvero un esempio eccellente di trasmissione orale (è il caso di dirlo) di un mito di grande successo e persistenza. Ascoltando i ricordi di alcuni testimoni si riesce a recedere sino ai primi anni '70 del secolo scorso, ma è del tutto chiaro che la faccenda ci arriva da assai più lontano, magari dalla goliardia maschile liceale e universitaria precedente la Seconda Guerra Mondiale.
Può darsi che tracce scritte della leggena dannunziana possano trovarsi nella sterminata pubblicistica "scandalosa" degli anni '50-'60, fatta di ammiccamenti e di seni intravisti, ancora poco studiata dal punto di vista del folclore moderno.
Certo è che dell'attribuzione della pratica a D'Annunzio esistono anche impieghi musicali, come quello fattone in tempi recenti nella demenziale La costola di D'Annunzio, di Lord Madness, (disclaimer: testo stra-osceno, sessista, eccessivo).
Altri casi di voci sulla rimozione delle costole sono da notare perché riguardano persone che hanno (o avevano) fatto del loro stesso corpo e della loro identità sessuale il centro della loro comunicazione, sino a far sospettare, anche stavolta, un legame fra la genesi di queste leggende e un rapporto complicato con l'autoimmagine e con certe parti del proprio corpo. Si pensi a Marylin Manson, per il quale la nostra diceria sembra esser esplosa tra la fine del 1994, quando fu accusato di atti osceni durante un concerto, e il 1996, in seguito ad un lungo ricovero ospedaliero, oppure, prima di lui, a Prince, o ad Eminem, e così via...
Dicevamo in apertura: non è facile parlare senza sghignazzare di questa leggenda. Per fortuna alcuni possibili spunti di lettura ce li offre un articolo, a volte dai toni esagerati, ma anche con un sacco di riferimenti degni di nota.
Ne è autore uno psicologo neozelandese specializzato in sessuologia, Jess Bering, che scrivendone su Slate ha ricostruito l'attenzione che lungo il XX secolo la psicologia clinica e le varie forme di psicoanalisi hanno avuto per questa rarissima e semi-mitologica pratica. I pochissimi casi, a cominciare da uno dei primi descritto nel 1938 sull'American Journal of Psychiatry, e poi un altro comparso nel 1954 su Psychoanalitic Review, risultano fortemente patologizzati e associati dai professionisti della mente a varianti del comportamento sessuale ormai da lunga pezza non più considerati in sé patologici (dal travestitismo, ai rapporti anali, al fetish, ecc.).
La stessa menzione della questione comparsa in un lavoro di enorme successo come il Rapporto Kinsey sulla sessualità dei maschi americani, uscito nel 1948, secondo il quale lo 0,3% dei maschi di quel Paese era riuscito nei suoi tentativi di autofellatio, oggi pone, come un po' tutto il lavoro di Kinsey, problemi di metodo e di statistica medica.
La sovrarappresentazione di maschi omosessuali nella scarsa letteratura medica sull'autofellatio, scrive ancora Bering, è il riflesso della cultura scientifica del tempo in cui parecchi di questi lavori uscivano. L'attenzione era attirata dalla pratica, rarissima, semi-mitologica e con un numero di case studies ai limiti dell'insignificanza, perché essa era considerata la manifestazione di patologie psichiche e, comunque, di una perversione - nel caso degli eterosessuali, di tendenze latenti verso comportamenti gay - come tali, da eradicare.
Le leggende contemporanee sulla privazione delle costole da parte di ricchi e famosi perversi per riuscire nell'autofellatio possono esser letti come la ricaduta popolare, certo non scevra di significati psichici profondi, della medicalizzazione della vita sessuale delle persone, passata col positivismo della seconda metà dell'Ottocento da tabù generalizzato a discorso da farsi su un tavolo anatomico, sul lettino dell'analista o, per dirla con Michel Foucault, dagli addetti alla funzione sociale del sorvegliare e punire.
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