Articolo di Sofia Lincos
C’è una storia che sta circolando negli ambienti degli “scettici” sul Covid-19, secondo i quali il virus non sarebbe poi granché pericoloso. Noi abbiamo scelto di etichettarla come quella dell’uomo ucciso dal finto sanguinamento. Come giustificare, nella visione dei negazionisti, le tante vittime del coronavirus? Ebbene, sarebbe tutta colpa del “potere della mente”. Per dimostrarlo, raccontano questo aneddoto, che abbiamo mantenuto nella sua prosa precaria:
Uno scienziato voleva testare una teoria. Aveva bisogno di un volontario che sarebbe arrivato fino alla fine. Alla fine lo trovò, era un condannato a morte che sarebbe stato giustiziato sulla sedia elettrica.
Lo scienziato propose al condannato quanto segue: avrebbe partecipato a un esperimento scientifico che consisteva nel fare un piccolo taglio al polso, allo scopo di far gocciolare lentamente il sangue fino all'ultima goccia. [...] Lo misero su una barella e gli legarono il corpo in modo che non potesse muoversi. Quindi gli tagliarono leggermente il polso e gli misero una pentola di alluminio sotto il braccio.
Il taglio era superficiale, solo i suoi primi strati di pelle, ma gli bastava credere che le sue vene fossero state effettivamente tagliate. Sotto il letto, una bottiglia di siero veniva posizionata con una piccola valvola che regolava il flusso del liquido, sotto forma di gocce che cadevano nel contenitore. Il condannato sentì il gocciolio e contò ogni goccia di quello che credeva fosse il suo sangue.
Lo scienziato, senza essere visto dal condannato, stava chiudendo la valvola, in modo che il gocciolamento diminuisse, con l'intenzione di pensare che il suo sangue si stesse esaurendo.
Con il passare dei minuti, il suo viso perse colore, la sua frequenza cardiaca accelerò e gli fece perdere aria ai polmoni. Quando la disperazione raggiunse il picco, lo scienziato chiuse completamente la valvola, quindi il condannato andò in arresto cardiaco e morì. [fine cit.]
La storia che abbiamo scelto di etichettare come quella dell’uomo ucciso dal finto dissanguamento ha cominciato a circolare quest’estate. Noi l’abbiamo presa dal sito Altra realtà, dov’è accompagnata da un’interpretazione che la collega in modo esplicito al coronavirus: la mente non ha limiti quando inganna se stessa, e se un malato pensa di star morendo, allora morirà. Corollario (ancora una volta ripreso alla lettera):
[...] come quando ti dicono che hai coronavirus, le persone muoiono per puro suggerimento. Dopo aver visto tutta la farsa dei media nei media televisivi. Senza forza di volontà, per combattere.
Inutile dire che la medicina è un po’ più complessa di così: se è pur vero che l’effetto nocebo è un fatto dimostrato, le sue possibilità sono comunque limitate, e non si muore per “puro suggerimento”.
Il vero guaio per il nostro racconto, tuttavia, arriva quando si cerca di capire quale sarebbe il nome dello scienziato, dove si sarebbe svolto l’esperimento o quando. Il testo diventato virale nelle ultime settimane viaggia il più delle volte accompagnato dalla firma “Bruni Vazquez” e dall’indicazione “Dal libro Il potere della mente”. In realtà non esiste nessun libro scritto da “Bruni Vazquez” con quel titolo. Secondo quanto ricostruito dai debunker di Bufale.net, all’origine di tutto ci sarebbe un post in spagnolo del 21 giugno scritto su Facebook da un’operatrice olistica (proprio la nostra Bruni Vazquez), forse portoricana (sul suo profilo è indicata la frequenza di una scuola di naturopatia a San Juan de Puerto Rico). Probabile che il titolo del messaggio si sia trasformato in un presunto “libro”.
Al di là dell’origine del post, comunque, è interessante la storia in sé. Da quanto circola? Quanto è diffusa?
In lingua italiana, il racconto viene per lo più ambientato a Phoenix, Arizona, ma non è quella l’unica versione: Snopes ne riporta un’altra in cui la ricerca è condotta da non meglio identificati “psicologi britannici”.
Un’altra storia che ho sentito parecchie volte riguarda un uomo in Inghilterra (prima che la pena capitale fosse messa fuorilegge) condannato a morte per impiccagione. Poco prima che morisse, gli fu detto che avrebbe avuto invece la gola tagliata con un coltello. Gli fu messo un cappuccio in testa e, invece che usare il lato tagliente, gli passarono lungo la gola il coltello dal lato smussato. Emise dei gorgoglii come se gli fosse stata appena tagliata la gola e morì. Chi racconta questa storia in genere specifica che l’”esperimento” fu messo in atto da psicologi britannici.
In questa versione non c’è nemmeno bisogno dello sgocciolamento: è sufficiente il finto taglio e l’uomo si impressiona fino al punto da morire immediatamente!
Ma Stati Uniti e Inghilterra non sono le uniche possibili ambientazioni del “fattaccio”. Abbiamo trovato una versione godibilissima in cui l’esecuzione dovrebbe avvenire… per mezzo di un cobra: circola, come qualcuno avrà già immaginato, soprattutto in India, anche se chi la racconta la ambienta... negli Stati Uniti!. Ecco come la riporta India Today:
Negli USA, un prigioniero venne condannato a morte. Ad alcuni scienziati fu permesso di compiere un esperimento. Si disse al prigioniero che sarebbe stato morso da un cobra reale. L’uomo fu legato a una sedia e di fronte gli fu messo un serpente gigantesco. Quindi venne bendato. Invece di usare il serpente, fu punto con due aghi. Morì quasi istantaneamente. L’autopsia rivelò che aveva avuto un attacco di cuore e che i livelli di sostanze tossiche nel sangue erano simili a quelli presenti nelle vittime del morso di un serpente. Le tossine furono generate dal suo corpo.
In questo caso la storia è usata per parlare dell’importanza di un atteggiamento positivo verso la vita. Il “75%” delle malattie, si dice nell’articolo, sarebbero influenzate dall’”energia positiva o negativa che generiamo” (una convinzione diffusa nella medicina alternativa indiana). Anche la “versione cobra” della leggenda, comunque, può avere ambientazioni che vanno da “un esperimento svolto a Boston nel 1986” a quello realizzato da “scienziati russi”.
Dall’India, però, ci arriva una versione ancor più famosa. A renderla celebre fu, nel libro L’arte The Lost Art of Healing (1996, in italiano L’arte perduta di guarire, Garzanti, 1997), il dottor Bernard Lown. Nato nel 1921, Lown è stato un luminare della cardiologia: ha introdotto l’uso della lidocaina per le aritmie ventricolari e ha contribuito a sviluppare la defibrillazione a corrente continua. Nel 1985 ritirò il premio Nobel per la pace a nome dell’International Physicians for the Prevention of Nuclear War, associazione nata per promuovere la collaborazione tra medici di nazioni ostili e della quale è stato coordinatore. Nel suo caso, l’aneddoto dell’uomo dissanguato veniva raccontato per introdurre un tema assai caro a Lown: quello del ruolo dello stress nelle patologie cardiovascolari.
Il mio interesse per la psicologia era continuamente riattivato dalle osservazioni cliniche e dallo studio della letteratura scientifica. Un articolo pubblicato in una rivista medica indiana sul tema «Uccisi dall’immaginazione» (N.S. Yagwer, Emotions as a Cause of Rapid and Sudden Death, Archives of Neurology and Psychiatry, 36, 1936, 875) mi lasciò un’impressione indelebile. Un medico indù era stato autorizzato dalle autorità carcerarie a condurre un sorprendente esperimento su un criminale condannato a morte per impiccagione. Il medico persuase il prigioniero a farsi dissanguare, assicurandogli che la morte, proprio perché graduale, sarebbe stata indolore. Il prigioniero, consenziente, fu legato al letto e bendato. Recipienti pieni d’acqua furono fissati ai quattro lati del letto e sistemati in modo da sgocciolare in bacinelle poste sul pavimento. La pelle alle quattro estremità del prigioniero fu incisa e l’acqua cominciò a gocciolare nei contenitori, all’inizio velocemente, poi sempre più adagio. Il prigioniero diventava sempre più debole, condizione rafforzata dal tono di voce del medico, sempre più grave. Alla fine il silenzio fu assoluto e lo sgocciolio cessò. Anche se il condannato era un uomo giovane e sano, alla fine dell’esperimento, quando l’acqua smise di gocciolare, sembrava svenuto. A un esame attento, si accertò che era morto, anche se non aveva perso una sola goccia di sangue. Da secoli circolano aneddoti analoghi. I medici hanno sempre saputo che l’attività nervosa influenza ogni parte del corpo.
Sul fatto che aneddoti simili circolino da secoli, Lown aveva ragione. “Yagwer” (che in realtà era Nathaniel Shurtz Yawger, 1872-1957) nel 1936 presentava il racconto affermando di averlo tratto da “un periodico medico in India”. La storia del finto dissanguamento circolava infatti fin dall’Ottocento sui giornali di mezzo mondo. Qualche esempio? Questo è lo statunitense The Toledo News-Bee del 25 ottobre 1922, in cui l’esperimento è effettuato in una facoltà di chirurgia inglese e alla vittima viene dato un blando anestetico perché non si renda conto che il taglio è fasullo. C’è poi un altro quotidiano USA, il St. Petersburg Times del 21 febbraio 1926, in cui la morte per “suggerimento” viene causata da un medico francese, affiancata ad altri aneddoti simili, come quella dell’uomo morto di freddo in una cella frigorifera nonostante il sistema fosse fuori uso e la temperatura normale. Qui, ancora, l’Appleton Review del 28 marzo 1930, Stavolta l’uomo è legato a una sedia e il taglietto “mortale” viene fatto sui piedi, accuratamente immersi in una bacinella di acqua calda.
Tra le versioni più vecchie che abbiamo trovato, una figura in una rivista di rango, Lancet del 19 giugno 1886, che però la riprendeva dalla rivista di farmacologia The British and Colonial Druggist, che, a sua volta, doveva averla resa pubblica poco tempo prima. In realtà si tratta di un semplice trafiletto, che per spiegare un caso di cronaca ancora aperto (la morte di una donna che aveva ingerito una polvere innocua) invocava la forza dell’immaginazione. Per farlo citava due casi in cui questa aveva dimostrato la sua azione: il primo era, appunto, quello del nostro dissanguato per finta. L’altra, che ebbe nel tempo un successo quasi pari, raccontava di uno scherzo ai danni del portiere di un collegio: gli studenti avevano inscenato un processo e all’uomo era stato fatto credere che sarebbe stato decapitato. Gli era stata mostrata un’ascia, era stato bendato e poi fatto inginocchiare: a quel punto era stato sufficiente un colpettino con un asciugamano bagnato sul retro della nuca per farlo cadere a terra morto stecchito.
Consacrati dalla prestigiosa rivista medica, i due aneddoti cominciarono a viaggiare. Furono ripresi da giornali scientifici, pubblicazioni colte, riviste di metapsichica. Un blogger e ricercatore giapponese, kumicit, nel 2016 ha steso un’interessante rassegna delle apparizioni di questa storia. Tra gli ospiti più illustri dell’elenco, notiamo che la storia fue ripresa persino da Camille Flammarion, il noto astronomo e popolarizzatore scientifico nel suo L’inconnu (1900).
Nell’Ottocento il finto dissanguamento fu usato anche per dimostrare le potenzialità di quella che era una vera e propria moda di massa: l’ipnosi. Con questo proposito il racconto compare in Hypnotismen, dess utveckling och nuvarande ståndpunkt (1887), dello psichiatra svedese Fredrik Björnström (1833-1889), libro che ebbe notevole successo nella traduzione inglese, sempre del 1887, curata dal barone e ginnasta Nils Posse (1862-1895). Il nostro aneddoto proveniva quasi sicuramente da Lancet, ma era accompagnato da un commento che aveva il compito di mettere in guardia dalla forza della suggestione e dai suoi possibili effetti negativi: Björnström fu infatti uno dei primi ad interessarsi dei pericoli dell’ipnosi; il suo libro comprendeva un capitolo riguardante la legge e la morale, e come essi avrebbero dovuto confrontarsi con la nuova disciplina. Una preoccupazione che nei decenni successivi avrebbe portato a un vero e proprio panico morale, con divieti agli spettacoli di ipnotismo anche in Italia e leggi ad hoc. Cosa sarebbe potuto accadere ad esempio se un uomo avesse ipnotizzato una rispettabile signora, inducendola ad atti sconvenienti? Tutto ancora da venire, comunque. Björnström usa la storia dell’uomo dissanguato per corroborare l’idea della forza della suggestione. Il medico svedese la ambienta in Francia ai tempi di Napoleone III. Vale la pena di riportare tutto il brano:
Anche nei soggetti non ipnotizzati, l’immaginazione può essere così vivida da indurne la malattia o la morte. Si racconta la storia di una giovinetta di sedici anni di età, che fu spaventata fin quasi alla morte dallo scherzo di un parente, che le fece soltanto credere di aver assunto un potente veleno al posto di un innocuo farmaco. Tutti i sintomi di avvelenamento si manifestarono in pieno, finché, all’ultimo minuto le fu detto dello scherzo e si salvò.
Più di recente fu effettuata un’autopsia medico-legale su una donna che si supponeva si fosse tolta la vita tramite un veleno. L’indagine portò alla luce il fatto che aveva assunto un innocuo insetticida, nella convinzione che si trattasse di un veleno mortale, e dal momento che nessun’altra causa di morte venne trovata, si deve supporre che la suggestione sull’efficacia della polvere ne abbia causato il decesso.
Con l’approvazione di Napoleone III uno scienziato fece legare un criminale a un tavolo, gli occhi bendati. Voleva fingere che avrebbe aperto l’arteria carotide all’uomo e che lo avrebbe lasciato dissanguare a morte. Con un ago fece un leggero graffio sul collo del criminale e mise dell’acqua a sgocciolare su un recipiente posto al di sotto, mentre tutto intorno regnava un silenzio di tomba. La vittima, credendo che la sua linfa vitale scorresse via, morì per davvero dopo sei minuti.
Uno scherzo terribile giocato da alcuni studenti scozzesi produsse il medesimo risultato. Un bidello antipatico fu condotto una notte in una stanza, dove fu solennemente processato e condannato a morte per decapitazione. L’uomo, spaventato, fu portato in un angolo e messo su un ceppo vicino a cui era stata posta un’ascia affilata; dopo avergli bendato gli occhi, gli fu dato un colpo sul collo con un asciugamano bagnato. Quando lo sollevarono, era morto.
Se queste cose possono accadere a persone in stato di veglia, quanto più facilmente non potrebbero avvenire con soggetti ipnotizzati o “suggestionati”!
Francia, Stati Uniti, India, Russia… Una leggenda che nei secoli è stata usata per ribadire cose diverse, dalla potenza dell’ipnosi all’importanza di un atteggiamento positivo verso la vita. Ora, la si riprende per dire che il coronavirus uccide solo chi ci crede - il che, dal punto di vista scientifico, è ovviamente un’aberrazione. E citare un racconto senza fonti che circola da oltre un secolo ne indica ulteriormente l’origine leggendaria.
Aggiornamento (20/10/2020): lo scrittore Mariano Tomatis ci ha segnalato che un'ulteriore, e più antica, fonte dell'aneddoto. Il finto dissanguamento compare infatti anche nell'autobiografia di Étienne-Gaspard Robertson, edita nel 1831: l'autore affermava di averlo letto in un giornale dell'anno II (corrispondente, quindi, al 1793-94). Per maggiorni informazioni, rimandiamo alla lezione tenuta da Mariano all'università di Warwick, "As strange as it seems".
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