Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo
In seguito alla scomparsa di Gina Lollobrigida, avvenuta il 16 gennaio 2023, alcuni giornali come Il Fatto quotidiano e Gaucho News hanno riesumato una vecchia leggenda sul suo conto, risalente al 1954.
Quell’anno in Argentina, a Mar del Plata, venne lanciata la prima edizione del Festival internazionale del Cinema. Affluirono nel paese sudamericano attori del calibro di Mary Pickford, Joan Fontaine, Jeanne Moreau, Errol Flynn, Edward G. Robinson e Walter Pidgeon. Tra gli italiani c’erano Alberto Sordi e Gina Lollobrigida, allora ventisettenne.
In Argentina dal 1946 c’era al governo il dittatore Juan Domingo Perón, che - si diceva - aveva un debole per l’attrice. Si vociferava addirittura che, sapendo che la donna avrebbe soggiornato in una villa del paese, le avrebbe fatto costruire un campo da tennis apposta (questo, almeno, scrisse il giornale Ambito Financiero). Perón invitò la star sul suo yacht presidenziale per una breve escursione sul Delta del Tigre, fiume a nord di Buenos Aires. Nella capitale argentina, Gina Lollobrigida fu acclamata e omaggiata da una folla in delirio.
Quel che accadde in seguito ce lo racconta Il Fatto quotidiano:
Sono imminenti le elezioni parlamentari quando una foto di Perón che cammina con la Lollo al suo fianco scatena un terremoto. Eh sì, perché Gina è… completamente nuda. Ovviamente un fotomontaggio, probabilmente ideato dagli antiperonisti che diffondono la fantasiosa notizia secondo la quale l’immagine (oggi ritrovata) è stata scattata con una improbabile fotocamera a raggi X su ordine dello stesso assatanato Perón. Manco a farlo apposta pochi anni dopo, Gina girerà Va in giro nuda per il mondo di Ranald MacDougall e Charles Walter, in realtà una sorta di antesignano di Pretty Woman, un film tradito dal titolo.
La foto è visibile qui. Si scorge l’attrice che passeggia a fianco di Peron e altri accompagnatori. Il falso è decisamente ingenuo: la “fotocamera a raggi X” avrebbe rivelato solo il corpo della Lollobrigida, lasciando i vestiti a tutti gli altri presenti! Dell’abbigliamento dell’attrice, peraltro, la cintura e le scarpe sarebbero rimaste ben salde al loro posto.
Eppure, la foto circolò ampiamente nel periodo che precedette il rovesciamento di Perón, nel settembre 1955. Era un modo per screditare la figura del presidente, accusandolo di un comportamento disdicevole: usare gli occhiali a raggi X per guardare le ignare argentine (e all’occorrenza anche qualche avvenente straniera come la Lollobrigida).
Insinuazioni di questo tipo non sono certo un’esclusiva dell’Argentina: in tempi diversi hanno riguardato altre categorie di persone, oltre a Perón. In Unione Sovietica, ad esempio, a possedere il gadget “spoglia-donne” erano i turisti occidentali, contro cui la voce popolare metteva in guardia. Ne avevamo parlato in questo articolo sulle leggende metropolitane diffuse nell’ex-URSS:
La spia che ti spogliava - Esattamente come in Occidente, in cui però si trattava di un gadget giocoso per pre-adolescenti, in Unione Sovietica si parlava molto di occhiali a raggi X”, ma con narrazioni assai più sinistre. A possederli erano, secondo la voce popolare, i turisti occidentali, che fotografavano con pellicole speciali di colore rosso le donne russe in costume da bagno. Quando si sviluppava la pellicola, il costume svaniva e le giovani apparivano nude. In Occidente, poi, queste foto circolavano abbondantemente, andando a macchiare la reputazione delle brave ragazze comuniste (ricordiamo che, nei Paesi sovietici, la pornografia era soggetta a sanzioni pesantissime).
Anche in tempi più recenti, durante l’invasione americana in Iraq del 2003, si era diffusa una storia simile riguardo ai soldati occidentali. Un articolo del New York Times sulle “leggende di guerra” raccoglieva la voce di un militare statunitense in merito:
"Ho lasciato che un bambino si mettesse i miei occhiali da sole, ed era ancora convinto che avessero la visione a raggi X", ha detto il sergente Stephen Roach, un soldato di Lufkin, Texas. "Continuava a dirmi: 'Accendilo, accendilo!'" (New York Times, 7 agosto 2003)
Nel caso dell’Iraq, la leggenda era forse nata dall’imponente equipaggiamento USA, impressionante rispetto a quello delle truppe di Saddam Hussein: i soldati avevano in dotazione standard anche occhiali per la visione notturna - del tutto inutili per guardare sotto ai vestiti delle donne, ma fondamentali per i combattimenti in assenza di energia elettrica. Oltre agli occhiali, la popolazione locale sembrava piuttosto stupita dalla resistenza al caldo dei militari Usa; da qui, l’idea che per resistere alle alte temperature del Paese i soldati utilizzassero “pillole speciali” in grado di mantenerli freschi, oppure condizionatori d’aria portatili nascosti nei giubbotti, nel casco, o nella biancheria intima.
"C'è del fluido che circola nella biancheria intima", ha detto il signor Hamid, lo studente di ingegneria. "Non sono sicuro del meccanismo esatto, ma sappiamo tutti che gli americani hanno una tecnologia molto sofisticata". (New York Times, 7 agosto 2003)
La storia degli occhiali a raggi X, però, non era soltanto un’esagerazione dell’armamentario tecnologico a disposizione del “nemico”. Racchiudeva in sé l’idea che gli americani usassero quella tecnologia a fini perversi, come di spiare le donne a loro insaputa. In questo, è simile a molte altre leggende di guerra che hanno l’obiettivo di mettere in cattiva luce l’avversario, dipingendolo come depravato o portatore di una morale diversa da quella propria. Durante l’intervento in Iraq, circolavano storie secondo cui i soldati statunitensi regalavano ai bambini pacchetti di caramelle con all’interno immagini pornografiche, o che i militari usassero i controlli ai posti di blocco per palpare le donne impunemente.
Le dicerie sugli occhiali a raggi X fanno parte di questo filone:
"Con quegli occhiali, può sicuramente vedere attraverso i vestiti delle donne", ha detto lo studente di ingegneria, Samer Hamid. "Mi fa arrabbiare. Abbiamo paura di portare le nostre famiglie in strada". (New York Times, 7 agosto 2003)
In Italia, gli occhiali a raggi X sono legati in maniera indissolubile alle pubblicità che comparivano sulle riviste a fumetti più diffuse negli anni ‘70 e ‘80: L’Intrepido, Il Monello, ma anche Topolino. Fra le pagine dei giornaletti, annunci posizionati strategicamente promettevano gadget mirabolanti come fischietti silenziosi, lanciatori di voce (?), pesci invisibili o le mitologiche “scimmie di mare” (in realtà, piccoli crostacei della specie Artemia salina). Bastava scrivere alla ditta, ed ecco che il prodotto sarebbe stato recapitato senz’indugio a casa nostra. Nel campionario degli oggetti super-tecnologici c’erano naturalmente anche gli “occhiali a raggi X”, oggetto del desiderio di adolescenti in preda alle prime tempeste ormonali.
Il prodotto, però, era una sòla: le fantomatiche lenti a raggi X erano di cartone, con un buchino coperto da una pellicola trasparente rossa e all’interno un sottilissimo filo. Per effetto della diffrazione, l’immagine appariva sdoppiata: guardando una matita, si poteva forse avere l’impressione di vederne la mina. Ma per tutto il resto ci voleva solo tanta, tanta fantasia.
E, dopo tutto, era proprio quello che consigliava il foglietto di accompagnamento, spedito insieme al prodotto:
Indossali e immagina.
Dietro a queste mezze truffe c’era un americano di nome Harold von Braunhut (1926-2003), abitante a Memphis e membro attivo del capitolo locale del Ku Klux Klan. Con le sue pubblicità ingannevoli e le vendite per corrispondenza, von Braunhut mise insieme una fortuna e fornì a un’intera generazione cocenti delusioni.
Ma se in Italia gli occhiali a raggi X non sono mai stati nulla di più di un giochino (o una truffa) per ragazzi, non bisogna dimenticare che altrove, in certi momenti della storia, la loro leggenda è stata un affare serio, anzi serissimo: un modo per accusare qualcuno di depravazione, una voce usata a fini politici o di propaganda. Quasi un affare di stato per attaccare un dittatore in declino. Gina Lollobrigida ne sapeva qualcosa.
Immagine in evidenza: Gina Lollobrigida in un fotogramma del film "Vita da cani", 1950, regia di Mario Monicelli e Steno, sceneggiatura di Mario Bava - Immagine in pubblico dominio, via Wikimedia Commons.
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