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La leggenda del ladro e dell’orso





Articolo di Sofia Lincos


Rovigo - Un ladro di maiali ingannato e spaventato. - Sere sono uno di quei girovaghi che menano l'orso a ballare pei villaggi chiese ospitalità per sé e per la bestia in una masseria presso Rovigo. I contadini a cui si era rivolto non sapevano dove collocare l'orso; finirono col rinchiuderlo nel porcile, dopo aver cavato e messo il maiale in un altro camerino attiguo alla stalla. Appunto in quella notte due ladri pensarono di andar a rubare il porco a quei contadini, e verso l'una dopo mezzanotte aprirono cautamente il porcile. Uno rimase sulla porta e l'altro entrò, e, tastando con una mano la bestia, disse al compagno: - Senti come l'è belo e grosso, ciò. Quindi si disponeva pian pianino a passargli una corda intorno al collo, quando l'orso lo afferrò improvvisamento per lo stomaco. Figuratevi il terrore del ladro, il quale credeva d'aver da fare con un maiale o si sentiva invece agguantato da granfie poderose. Credette d'essere stato preso dal diavolo, e cominciò a urlare e a chiamare aiuto, mentre il suo compagno se la dava a gambe.

Questa storia comparve il 6 dicembre 1887 sul quotidiano Gazzetta Piemontese (che nel 1895 sarebbe diventato La Stampa) nella sezione Notizie italiane. Negli stessi giorni fu rilanciata anche da altri giornali (il 9 su La Voce del Lago Maggiore, l’11 su L’Eco dell’Industria e il 13 su La Gazzetta di Mondovì…). L’anno dopo, nel 1888, la notizia era già utilizzata come dettato per i bambini della seconda elementare e come esercizio di componimento (Dite quali siano le somiglianze fra l’orso e il maiale che hanno indotto in errore il ladro introdottosi nella stalla per rubare il maiale).


Ma si trattava di un qualcosa accaduto davvero?

Probabilmente no. La vicenda è decisamente troppo simile a una leggenda metropolitana diffusissima in tutta Europa, analizzata di recente dal folkorista Peter Burger sul suo blog Gestolen Grootmoeder (La nonna rubata, in olandese, con riferimento alla celebre leggenda).


Confrontate, ad esempio, la nostra vicenda di Rovigo con quest’altra ambientata a Leinì, in provincia di Torino, pubblicata il 15 aprile 1948 dal quotidiano olandese Nieuwe Tielsche Courant:

Un giovane italiano aveva insegnato a ballare a un grosso orso bruno per guadagnarsi da vivere. Due giorni fa l'uomo è arrivato a tarda notte nel paese di Leinì e ha trovato un allevatore disposto a ricoverare per la notte il suo orso nel porcile, e lui in casa. Quando tutti dormivano il sonno dei giusti, un ladro, affamato di carne di maiale, ha aperto il porcile per rubare gli animali. Ma l'orso, disturbato nel sonno, si è alzato e ha cominciato a ballare con il ladro di maiali. Anche il maiale non è rimasto indifferente ed ha iniziato a gridare come se fosse stato affettato. L'orso, non abituato a questa musica, mugolava e il suo compagno di ballo, che sudava per il terrore, urlava. Il contadino e il suo ospite, svegliati dal trambusto, sono accorsi e hanno salvato il ladro, che ora è ricoverato in ospedale in stato di choc nervoso.

Della vicenda, seppur ambientata in Italia (e presumibilmente nel torinese), non sembrano esserci tracce né su La Stampa né su giornali locali.


Come ha fatto notare Burger, la leggenda del ladro e dell’orso è in circolazione da secoli: compare periodicamente sui giornali (qui, ad esempio, è attribuita a un certo Jean-Pierre Reitreit, comparso davanti a un tribunale di Tolosa); ma la si trova sovente anche nella letteratura per bambini e nei libri di scuola.


La ragione è ovvia: si tratta di una storia esemplare di malaffare punito, in cui la sorte va a sanzionare la cattiva azione. Comunque vada la faccenda, il ladro finisce sempre strattonato dall’orso, a volte ferito, si prende comunque un bello spavento e spesso finisce la sua avventura nelle mani della giustizia. In alcune versioni ci scappa addirittura il morto. In ciò, la leggenda del ladro e dell’orso somiglia molto a un’altra narrazione che vi avevamo presentato, quella della derubata fantasma:


La notte della vigilia di Natale, due malviventi penetrano, credendola vuota, nella casa di un nobile torinese. Mentre però sono intenti ad accumulare bottino, sentono aprirsi lentamente una porta e la luce delle loro torce elettriche illumina sulla soglia una bianca figura spettrale. “Un fantasma!” gridano i ladri terrorizzati. Uno scappa e l’altro sviene. Ma sviene anche il fantasma che altri non è se non la vecchia mamma del padrone di casa, svegliata da quegli insoliti rumori nell’appartamento. Quando la signora ritorna in sé, anche il secondo ladro è fuggito, abbandonando il sacco con tutta la refurtiva (La Domenica del Corriere, 9 gennaio 1955)

In entrambe le occasioni i ladri si trovano a fare i conti con un evento inaspettato; in entrambi i casi, si prendono uno spavento, o peggio: in alcune versioni della derubata fantasma, infatti, il criminale ha un attacco cardiaco o sviene alla vista della donna vestita con una bianca camicia da notte o avvolta in un lenzuolo.


Leggende metropolitane moderne di furto punito sono quella del gatto nel pacchetto o quella dell’uomo che vuole rubare il carburante dal serbatoio di un camper aspirandolo, ma che scambia lo sportellino della benzina con quello delle acque reflue. Il crimine non paga, sembrano volerci dire tutte queste storie. Questo ovviamente, vale anche per il motivo folklorico che stiamo esaminando.


In un tempo in cui la letteratura per ragazzi doveva servire a prepararli alla vita e a dar loro insegnamenti di ordine morale, la vicenda del ladro e dell’orso ebbe grande successo, finendo per essere riproposta innumerevoli volte come esercizio di scrittura o composizione nelle scuole. In questi casi, spesso la morale viene esplicitata, come accade in questa versione proposta dall’educatore tedesco Christoph von Schmid (1768-1854):


89. Il ladro e l’orso
Giunti a notte tarda in un villaggio, due conduttori di un orso si fermarono in un albergo. L’oste, che poco innanzi aveva venduto un majale, non trovò meglio che rinchiuder l’orso nella stalla rimasta vuota. A mezzanotte venne un ladro, che aveva fatto i suoi conti sul majale, e siccome si può ben credere, non sapeva nulla di quanto era accaduto. Aprì pian piano la porta della stalla, entrò, e nella oscurità afferrò l’orso in luogo del majale. che vi credeva di trovare. L’orso si alzò muggendo in un modo terribile, stese le sue grinfie sul ladro, e lo tenne stretto sì fortemente, che non potea più far moto. Lo spavento ed il dolore strapparono all’infelice delle grida spaventevoli, tanto che tutte le genti dell’albergo si svegliarono e accorsero al rumore. E non fu che a grande stento che i padroni dell’orso riescirono a togliere il ladro, tutto sanguinoso e malmenato, dalle grinfie dell’animale furioso, al quale non isfuggì che per essere dato nelle mani della giustizia. Sovente in questo mondo medesimo il malvagio riceve il giusto premio del male che commise.

A volte nel testo c’è pure una morale parallela: se in alcune versioni la stalla è vuota perché il maiale (o un altro animale) è stato venduto, in altre è il proprietario stesso che decide di spostare il bestiame per ospitare il girovago e il suo orso. L’uomo ottiene così una ricompensa per la propria generosità: se non avesse accolto lo straniero, i suoi animali sarebbero stati rubati. In certi casi, anche questa morale viene proposta in modo esplicito. Burger, ad esempio, riporta una storia pubblicata sull’Amsterdamse Courant il 27 settembre 1800, e ambientata a Lione: un addestratore di orsi viene sorpreso dalla notte nelle vicinanze della città e si trova senza alloggio. Prega allora un contadino di dargli ospitalità… Questo avrebbe volentieri fatto a meno di metterselo in casa, ma si lascia convincere dal brutto tempo e dal suo buon cuore, e finisce per alloggiare l’orso nella stalla dove tiene le pecore, che l’indomani avrebbe portato al mercato. I ladri arrivano, finiscono tra le grinfie dell’orso, e uno dei due ci rimette anche la vita. Conclusione:


Così il contadino dovette la salvezza delle pecore alla sua ospitalità.

Esiste, però, almeno un caso in cui la storia è stata utilizzata per ragioni di… campanilismo. È successo (potevate dubitarne?) in Toscana, dove gli abitanti di Ponsacco (Pisa) vengono chiamati dai vicini di Pontedera (anch’essa in provincia di Pisa) rubbaorsi.


Riportiamo la leggenda dal sito Toscana ovunque bella:


Si dice che una volta un tale Cini, figlio di Palle di Mescuglio, un poco di buono di Ponsacco a capo di un manipolo di ladroni, si fosse messo in testa di fare incursione in una stalla per rubare un maiale. Tutto era pronto, quando il destino ci mise lo zampino. E il destino assunse le sembianze di un saltimbanco che con il suo orso girava per fiere e mercati. Il giullare chiese ospitalità al contadino che accettò ma l’orso, pensò, meglio metterlo nella stalla al posto del maiale… Avrete già capito come andò finire. I ladroni di Ponsacco entrarono a tentoni nella stalla e si trovarono davanti la bestia feroce che con una zampata sfigurò il povero Cini. La voce di quella bravata finita male arrivò agli orecchi degli abitanti di Pontedera che cominciarono a sbeffeggiare i ponsacchini chiamandoli “rubaorsi”, cioè imbranati. “Meglio rubaorsi che cisposi” fu la pronta risposta dei ponsacchini ai vicini di Pontedera, che era spesso immersa nella nebbia. Ancora oggi, allo stadio o in situazioni di competizione, le rivalità da campanile tra le due città sfociano in questo sagace scambio di battute. E la novella ancora oggi si tramanda con qualche piccola variante.

In questo modo la storiella cessa di essere un insegnamento morale e assume i contorni della bonaria presa in giro nei confronti degli abitanti della cittadina rivale. Che, come spesso accade, rivendicano con orgoglio l’appellativo, tanto che in paese esiste un’associazione culturale chiamata La Compagnia dei Rubbaorsi, ed è da poco uscito un libro intitolato Noi Rubbaorsi. In questa versione, peraltro, il protagonista della leggenda ha un nome ben preciso.


Anche in alcune delle varianti più antiche il ladro ha un’identità definita: quella di James Whitney (1660-1693), bandito inglese giustiziato sulla forca a Smithfield, e sul cui conto fiorirono diverse leggende (guardate l'incisione del tempo, in evidenza in testa all'articolo). Non ci sono, però, fonti contemporanee che riportano l’episodio dell’orso: la vicenda cominciò ad apparire soltanto a partire dal secolo successivo. La fonte più antica sembra essere un libro del 1714 sulla vita dei più celebri banditi inglesi (A History of the Lives and Robberies of the Most Notorious Highwaymen, Footpads, Shoplifts, and Cheats, di Alexander Smith). Whitney, volendo rubare un vitello, penetra in una stalla, ignaro che lì è stato alloggiato un orso; il bandito lo scambierà per un diavolo e, scampando a stento alle sue grinfie, giurerà di non commettere mai più furti di vitelli.


Ma la storia affonda forse in fiabe popolari antiche, tanto da avere perfino l’onore di un motivo nella classificazione Thompson dei motivi narrativi (K335.1.9. K335.1.9. Robbers coming to steal from stable frightened away by bear staying the night there with his keeper. Type 957).


Insomma, un racconto dal sapore antico, arrivato quasi fino ai giorni nostri e trasformato saltuariamente in vicenda esemplare, in esercizio scolastico o in cronaca giornalistica.


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