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Le patate vanno a ruba: una leggenda patatosa

Immagine del redattore: RedazioneRedazione



Quando gli Europei arrivarono in America, nel 1492, vennero in contatto per la prima volta con un’incredibile varietà di alimenti mai visti prima: pomodori, patate, zucche, peperoni, peperoncini, arachidi, cacao, tacchini… Alcuni entrarono nella dieta dei nostri progenitori senza particolari traumi, di solito perché somigliavano ad animali o vegetali già noti. A nessuno venne in mente di chiedersi, per esempio, se la carne di tacchino fosse per caso velenosa. 


Pomodori e patate ebbero invece vita più dura. Quest’ultima, in particolare, era chiamata la “mela del diavolo”: aveva un aspetto brutto, deforme, faceva parte della famiglia delle Solanacee come la velenosissima belladonna e in più cresceva sotto terra; ce n’era abbastanza per guardarla con un po’ di sospetto. Nel 1623 il medico e botanico svizzero Gaspard Bauhin scrisse un trattato intitolato Pinax Theatri Botanici, in cui avanzò il dubbio che il tubero potesse causare la lebbra. L’origine di questa idea poggiava probabilmente anche in questo caso nel principio di somiglianza: già il tartufo, dalla forma bitorzoluta e dalla crescita sotterranea, veniva accusato ingiustamente di provocare questa malattia. Quando a partire dal XVII secolo la lebbra cominciò a declinare in Europa, alla patata fu attribuita invece la "piccola lebbra", cioè la scabbia. E non solo: don Pietro Salatti, parroco di Metello (oggi comune di Sillano Giuncugnano, in Lucchesia) nonché cappellano militare alle dipendenze di Napoleone, registrava così le resistenze della popolazione locale all’introduzione della patata in Garfagnana: 


Gran parte dei contadini della montagna, sono intimamente persuasi che l'irregolarità delle stagioni sia effetto della coltivazione delle patate.

Il nostro tubero cominciò ad essere usato su larga scala soltanto a partire dal XVIII secolo, due secoli dopo la sua scoperta, quando la popolazione cominciò ad aumentare e iniziarono a scoppiare frequenti carestie. 


Fu allora che in molte parti d’Europa si cominciò a incentivare l’uso della patata come mezzo per sfamare gli strati più poveri della popolazione. Ma come convincere i contadini a mangiare quell’alimento tanto temuto? È qui che si innesta una curiosa leggenda, diffusa - a quanto pare - in diversi paesi.


Luigi XVI e Antoine Parmentier


Se andate al cimitero del Père-Lachaise, a Parigi, potreste imbattervi in una tomba sormontata da patate, che la gente porta tuttora in omaggio al suo occupante: è la tomba di Antoine Augustin Parmentier (1737-1813), il farmacista che introdusse la patata in Francia. La sua campagna a favore del tubero iniziò nel 1771. Quell’anno, il comune di Besançon aveva lanciato un concorso in cui chiedeva agli agronomi quali alimenti avrebbero potuto sostituire il frumento in caso di carestia. Parmentier rispose con una dissertazione sulla patata e sui suoi pregi nutrizionali: un atto coraggioso, dal momento che la sua coltivazione era stata vietata nel 1748, proprio perché si pensava potesse diffondere malattie. In seguito, grazie anche all’interessamento di Luigi XVI, Parmentier cominciò a diffondere l’uso della patata nei terreni che il re gli aveva assegnato, creando una prima piantagione nei pressi di Neuilly-sur-Seine. 


Ed è qui che si innesta la nostra storia. Come riuscì Parmentier a convincere i contadini a cibarsene, nonostante i pregiudizi? Grazie a un ingegnoso trucco di “psicologia inversa”, racconta una leggenda riportata come vera anche da Wikipedia:


Particolarmente divertente, quanto sagace, fu il trucco escogitato da Parmentier per convincere i contadini francesi a cibarsi di patate, piuttosto diffidenti verso la consumazione del tubero, che pure regolarmente coltivavano nelle terre dello Stato. Il farmacista fece inviare militari armati a presidiare, dall'alba al tramonto, i campi coltivati a patate; i contadini si convinsero trattarsi di cibo prezioso e cominciarono a rubarle nottetempo, iniziando così a consumarle. Parmentier riuscì a coinvolgere nella sua opera di diffusione persino il re e un fiore di patata venne messo sulla parrucca della regina.

 

Difficile dire se Parmentier avesse davvero messo qualche guardia ai suoi terreni con lo scopo di trasformare la patata in un “frutto proibito”. Di sicuro l’agronomo francese si lanciò in vere e proprie campagne propagandistiche pro-patata, con un corposo trattato sul tema, conferenze e cene di gala a base del tubero, a cui invitava il fior fiore della società. Diffuse anche le prime ricette tra la popolazione: uno dei problemi, con le patate, era che i contadini non avevano idea di come consumarle, e a volte qualcuno provava a mangiarne le foglie, rimanendo avvelenato. 


In altre versioni della storia, il “trucco della patata” è escogitato da Luigi XVI in persona. A farci intuire che tutto questo potrebbe essere una leggenda è però un altro particolare: la vicenda è sospettosamente simile ad altri racconti diffusi in tutto il continente europeo.


Federico II di Prussia 


La tomba di Parmentier non è l’unica cui la gente porta in omaggio patate: anche quella di Federico il Grande di Prussia (1712-1786), ha avuto la stessa sorte. Monarca votato alle idee dell’Illuminismo, alle imprese militari alternò innumerevoli riforme e riordini amministrativi, tra cui la riforma agraria, che univa il disboscamento e la bonifica di nuovi terreni ad uso di colture a maggior rendimento. Tra le coltivazioni promosse, anche quella della patata, la cui coltivazione permise di contrastare le carestie che spesso falcidiavano la popolazione prussiana, esposta ogni anno ai rigori dell’inverno portato dai venti siberiani. 


Ebbene, anche sul conto di Federico il Grande circola la leggenda dello “stratagemma”: come racconta il sito Castleholic, anche i suoi sudditi erano restii a coltivar patate, ma…


il vecchio Fritz aveva un piano: prima creò coltivazioni regie di patate in tutta Berlino e poi inviò i suoi soldati a sorvegliarli, suscitando così l'interesse degli abitanti della città; dopo tutto solo qualcosa di valore sarebbe stato sorvegliato in modo così intenso dalle truppe del re. Supponendo che qualcosa di così prezioso valesse la pena di un furto, la gente si avventurò nei campi di notte. Fortunati furono che il re avesse ordinato alle guardie di non sorvegliare nulla, e di fingere di dormire. All'inizio, la gente rubava soltanto tuberi di patate, poi piante intere - e il resto, come si suol dire, è storia.

In realtà, Federico II introdusse la patata nel rancio militare e ne impose la coltivazione più a colpi di Kartoffelbefehle (“editti sulle patate”) che di trucchi ingegnosi. Tuttavia, i tuberi che costellano la sua lapide testimoniano comunque la grande riconoscenza della popolazione tedesca per quell’innovazione. 


Ioannis Kapodistrias


E veniamo al terzo protagonista della nostra vicenda. Il conte Ioannis Antonios Kapodistrias, italianizzato spesso in Giovanni Capodistria (1776-1831) fu un politico e diplomatico assai influente, massone, nativo della Repubblica di Venezia. Dopo che la Grecia nel 1827 ottenne l’indipendenza dall’Impero Ottomano, ne divenne il primo capo di stato, adottando una politica di innovazioni e di pianificazione urbana, al fine di ricostruire le città distrutte durante il conflitto. Ma a lui è anche attribuito il merito di aver introdotto la patata nel Peloponneso con lo stesso “trucco” di Parmentier e di Federico il Grande. 


Riportiamo anche questa volta da Wikipedia


Secondo la leggenda, anche se Kapodistrias aveva ordinato di distribuire le patate a chiunque fosse interessato, la popolazione fu inizialmente riluttante ad approfittare dell'offerta. Così, continua la storia, ordinò che un intero carico di patate fosse esposto in pubblico sulle banchine di Nauplia, e che fosse messo sotto sorveglianza per far credere che fosse prezioso. Ben presto la gente cominciò a riunirsi per ammirare le patate sotto custodia, e alcuni iniziarono a rubarle. Alle guardie era stato preventivamente ordinato di chiudere un occhio su questo comportamento, così che ben presto le patate furono tutte "rubate"; il piano di Kapodistrias di introdurle in Grecia era riuscito.

Giovanni III Sobieski di Polonia


I nostri “apostoli della patata” non sono finiti. Giovanni III Sobieski (1629-1696) governò la Polonia dal 1674 alla sua morte. Secondo il racconto, al suo ritorno dall'assedio di Vienna nel 1683, avrebbe portato con sé alcune piantine del nostro tubero per donarle alla moglie Maria. Le prime patate della Polonia sarebbero dunque cresciute nell'orto della sua residenza a Wilanów, vicino Varsavia. Resosi conto che quell’ortaggio, fino ad allora considerato solo una pianta ornamentale, avrebbe potuto sfamare la nazione, avrebbe diffuso la voce che si trattava di un alimento regale, destinato soltanto alla sua famiglia. Fu così che la gente avrebbe iniziato a rubarlo. In realtà, spiega il sito PolishHistory,


come hanno recentemente dimostrato le ricerche di Rebecca Earle e Rosa Congost, la propaganda illuminista della patata giunse dopo la diffusione della sua coltivazione, e fu più il risultato delle convinzioni economiche dell'élite di allora che di una reale necessità. La patata era vista come uno dei simboli del progresso socio-economico. Tuttavia, i contadini dell'Europa occidentale avevano già iniziato a piantare patate in modo autonomo e non avevano alcun bisogno di essere persuasi a farlo. Il fatto è che, come per molte altre attività contadine, della cosa rimangono poche tracce.

Vincenzo Virginio 


Una tradizione simile è presente anche in Italia. In Piemonte, la patata fu introdotta probabilmente nelle Valli valdesi già dal 1630 grazie agli esperimenti di Lord Morton, ambasciatore inglese alla corte sabauda, in buoni rapporti con la locale comunità protestante.


Ma la vera diffusione sarebbe arrivata soltanto nel secolo successivo, grazie agli sforzi di un avvocato cuneese e massone, Giovanni Vincenzo Virginio (1752-1830), che finì per lasciare il lavoro e per dissipare il patrimonio di famiglia, alla “ricerca della pubblica felicità e della maggior utilità per la sua patria piemontese”. Virginio non si limitava a piantare le patate nei suoi terreni del Pinerolese, ma si spendeva in opere di divulgazione e propaganda, regalandone anche interi sacchi ai bisognosi. Nel 1799 pubblicò anche un Trattato di coltivazione delle patate o sia pomi di terra volgarmente dette tartiffle, per diffonderne l’uso alimentare. 


Uno di noi (Sofia Lincos) può testimoniare di aver sentito raccontare negli anni in cui frequentava la scuola elementare (primi anni ‘90) la leggenda di come Virginio avrebbe diffuso la patata tra la popolazione diffidente: anche lui avrebbe recintato i suoi campi, assoldato delle guardie e messo cartelli ovunque per segnalare ai concittadini di “non mangiare le patate”. In questo modo, gli ortaggi, prima guardati con disgusto, avrebbero cominciato ad attirare interesse e… furti da parte dei contadini della zona (che, se la cosa fosse stata storicamente vera, sarebbe dovuta avvenire nei poderi che Virginio aveva a Riva di Pinerolo, dove sperimentava il tubero prima che, nel 1803, comparisse davvero, per iniziativa del governo francese, nei mercati di Torino, Susa, Cuneo e Savigliano). 


Spirito di patata


Una vecchia battuta afferma che per convincere un inglese a fare qualcosa bisogna dirgli che è da gentiluomini, a un tedesco bisogna dire che è un ordine, a un americano che lo ha fatto il suo vicino e a un italiano che è vietato dalla legge. Secondo la leggenda, invece, il trucchetto del “frutto proibito” avrebbe funzionato immancabilmente un po’ in tutta Europa. 


Ulteriori ricerche potrebbero condurre alla scoperta di leggende simili in altri paesi. Tra il XVIII e il XIX secolo la patata diventò un alimento fondamentale per il Vecchio Continente. È normale che sul suo conto siano nate storie, dicerie, aneddoti sui modi in cui ne sarebbe avvenuta la prima introduzione. In Irlanda si dice che le prime patate sarebbero arrivate grazie al naufragio di una nave spagnola appartenente alla Invincibile Armada (dunque, addirittura in occasione della battaglia navale del 1588, quella in cui la flotta spagnola fu disfatta); in Svezia che la ritrosia dei suoi abitanti nel coltivarle sarebbe caduta quando si scoprì che se ne poteva facilmente ricavare un alcolico


In realtà, nella maggior parte dei luoghi il primo arrivo delle patate è scarsamente documentato. L’unica cosa certa è che nel corso di un secolo il tubero entrò a far parte a pieno titolo del folklore e della tradizione europea. Nacquero nuove ricette e nuove superstizioni sul suo conto. In Inghilterra, per esempio, era comune per chi soffriva di reumatismi portare in tasca una patata: man mano che questa raggrinziva, il male sarebbe stato assorbito. Una collezione di “patate anti-reumatiche” è tuttora conservata presso il museo Pitt Rivers, a Oxford. Ben presto la patata diventò parte fondamentale nella dieta contadina, soprattutto in paesi come l’Irlanda e la Germania. Quando nel 1845 arrivò la peronospora, la perdita delle colture causò una delle più grandi carestie mai viste in Europa e l’emigrazione di massa di irlandesi e scozzesi verso gli Stati Uniti. Ma, come si dice, questa è un’altra storia. 


Immagine in evidenza: da Pixabay, photo by Alexas_Fotos


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