articolo di Paolo Toselli
Lo scrittore e giornalista Luca Goldoni è scomparso a Bologna il 7 ottobre 2023 all’età di novantacinque anni. Attento osservatore del costume contemporaneo, non poteva certo sfuggire al fascino delle leggende metropolitane.
Scandalo in tv
Ricordate Piccoli Fans, la trasmissione televisiva condotta da Sandra Milo la domenica pomeriggio su Raidue? L’attrice usava intervistare dei bambini di cinque-sei anni prima che questi cantassero una canzone di fronte a un pubblico composto di genitori e parenti. Si narra che durante una puntata andata in onda intorno al 1987-88 si sarebbe verificato un vero e proprio scandalo per bocca di un innocente piccolo ospite.
Ne scrisse anche Luca Goldoni in un’”intervista” proprio a Sandra Milo pubblicata in prima pagina sul Corriere della Sera il 21 febbraio 1988, in cui, tra le altre cose e in conclusione, la Milo affermava che Piccoli Fans era “una trasmissione educativa”. A sostegno della sua testi riportava questo esempio:
“qualche settimana fa ho chiesto a una bambina: ‘Hai il fidanzatino? Cosa fate quando siete soli in casa?’. E lei mi ha risposto: ‘Vado sul canapè́ e faccio quello che fa la mamma con lo zio quando il papà è fuori’. Mi sembra un servizio reso alla sacralità del matrimonio: i coniugi devono sapere che i bambini ci guardano e poi riferiscono in diretta.”
Malgrado vi fossero persone pronte a giurare di aver assistito all’increscioso episodio che si concludeva con il papà del bambino, presente in studio, che sferrava un pugno al sopracitato zio, la storia iniziò ad essere annoverata tra le leggende metropolitane come mai avvenuta.
Non era bastata quindi la dichiarazione della conduttrice per dissipare i dubbi? Assolutamente no: si trattava di una delle tante interviste dichiaratamente immaginarie a personaggi famosi scritte in realtà da Luca Goldoni con la collaborazione, come ispiratore, del pubblicitario Enzo Sermasi, e poi raccolte nel libro Il sofà di Luca Goldoni, pubblicato da Rizzoli sempre nel 1988.
Allora, possiamo considerare la finta intervista fonte primaria di una probabile leggenda?
Non esattamente, perché qualche mese prima, e più esattamente il 12 dicembre 1987, sul Corriere della Sera era uscito l’articolo “Storia d’una storiella fra Zecchini e Piccoli fans” a firma del critico musicale Mario Luzzatto Fegiz. Ecco quanto scriveva Luzzatto Fegiz:
“Da parecchi giorni a Roma gira una storiella. In uno show televisivo per bambini il presentatore chiede a un piccolo ospite: ‘Ce l’hai la fidanzata?” E il bimbo: “Certamente!’. ‘E cosa fate insieme?’. ‘Ciò che fanno la mamma e lo zio Beppe quando il papà è uscito’. Un quotidiano romano attribuisce questo dialogo comico-boccaccesco alla trasmissione Piccoli fans. La Milo, ospite di Magalli su Raiuno, smentisce che nello show di Raidue sia mai accaduto un episodio del genere. Anche il quotidiano romano pubblica la smentita di Piccoli fans.”
A suffragare la tesi della presenza di una vera e propria leggenda sta il fatto che oltralpe è esistita una trasmissione intitolata L’école des fans, condotta da Jacques Martin. Già il titolo fa tornare alla mente Piccoli Fans. I due programmi erano effettivamente uno la copia dell’altro. Con una differenza: in Italia si andava in diretta, L’école des fans andava in onda in differita.
Nel corso di un programma promozionale dedicato alle trasmissioni televisive andato in onda nel 1993 su Canal+, fra gli ospiti c’era Jacques Martin. Questi raccontò che un giorno nel 1984, dunque anni prima del presunto scandalo italiano, un bambino aveva detto qualcosa che non doveva a proposito di sua madre. La dichiarazione era estremamente imbarazzante, visto che tirava in ballo un terzo incomodo. L’episodio fu tagliato e non fu mai trasmesso. Eppure, anche in Francia si incontrano persone sicure di aver assistito alla messa in onda dell’episodio conclusosi con lo schiaffeggiamento dello zio da parte del papà dell’innocente bambino.
Una storia ha ispirato l’altra? Certo è che negli scorsi anni ho potuto approfondire la vicenda e per ulteriori particolari vi rimando all’edizione aggiornata del mio libro La famosa invasione delle vipere volanti.
Goldoni contro i mostri-giocattolo
Pochi mesi dopo l’articolo sullo scandalo nel programma condotto da Sandra Milo, Goldoni incappò in un’altra storia in odor di leggenda firmando, sempre per il Corriere della Sera, l’articolo “Contro chi insorgo oggi? Ah, c’è quel mostro-giocattolo”, pubblicato il 30 dicembre 1988.
Come si sa c’è un giocattolo che raffigura un alieno, un mostriciattolo a mezza via tra un insetto e un cucciolo di dinosauro: sulla pancia ha una cucitura come quella dei palloni da football di una volta. Il gioco consiste nell’aprire la pancia e guardare cosa c’è dentro, cuore, budella, eccetera, immersi in un liquido denso e verdognolo.
Un giochetto vomitevole di cui non si parlerebbe se non ci fossero due notizie. Una è quella che un bambino di Rovereto, dopo aver esplorato gli interni dell’alieno, avrebbe tentato di fare altrettanto con la sorellina di due anni, iniziativa sventata dall’intervento dei genitori. L’altra notizia è che i Verdi sono insorti chiedendo il sequestro del mostriciattolo su tutto il territorio nazionale e proponendo altresì una legge contro i giocattoli ‘che incitano alla violenza’.”
Ma, per quello che qui più ci interessa, il giornalista rimarcava:
“Il marziano con la pancia apribile, ripeto, è un gioco ripugnante, Ma il caso del (fantomatico) bambino di Rovereto (chi è, in che via abita, come si chiamano i suoi?) non mi sembra degno di una legge. Generazioni di bambini hanno sventrato bambole di segatura senza per altro infierire sui loro coetanei”.
In effetti, i dubbi di Goldoni sull’esistenza del bimbo-squartatore sono più che condivisibili. La vicenda, come si scoprì, malgrado il clamore era basata soltanto sui “si dice”. Ma su ciò torneremo in un prossimo articolo.
C’è ancora un passaggio sarcastico, nell’articolo del Corriere, interessante per i nostri argomenti.
Negretti e carta stagnola
“Vien da pensare che Curcio e altri terroristi provengano dalle file dell’Azione Cattolica: è lì che si sono formati alla carità e alla tolleranza, giocando in parrocchia al calciobalilla e raccogliendo carta stagnola per riscattare un negretto”.
Ma che cos’è questa storia della stagnola “liberatrice”? Siamo di fronte a una curiosa attività diffusa in Italia almeno dagli anni ’20 del secolo scorso. Su La Stampa del 17agosto 1988, il regista Marco Ferreri (classe 1928) presentando il suo film “Come sono buoni i bianchi” polemizzava contro la Nuova Carità Bianca citando un aneddoto personale: “Quando avevo dieci anni, a scuola l’insegnate di religione ci faceva raccogliere la carta stagnola ‘per riscattare un negretto’.”
E anche lo scrittore e giornalista Bruno Gambarotta (classe 1937), nella sua rubrica su La Stampa, il 7 aprile 1995 scriveva: “Per quanto mi riguarda personalmente, da piccolo, ero la prima vittima della leggenda metropolitana secondo la quale, raccogliendo e stirando la carta stagnola si poteva salvare un negretto in Africa”.
Gambarotta la identificava già per conto suo come leggenda metropolitana, ricordando altre “raccolte benefiche” che poi sortivano in un nulla di fatto.
Ma che cosa poteva aver originato questa voce?
Già nell’opuscolo La propagazione della fede nel mondo, edito dall’Azione Cattolica nel 1926, si invitava a dare alle missioni “gioielli, oro, argento e sinanco francobolli usati e stagnola”. Sulla Gazzetta d’Alba del 11 luglio 1929 campeggiava un annuncio dal titolo ”Dateci francobolli usati per la Buona Stampa!” da recapitare alla Pia Società San Paolo. Il testo precisava: “Accettiamo anche con riconoscenza fogli di stagnola (quella che si usa ad avvolgere il cioccolato ecc.)” e altro, “tutte cose inutili, che invece possono diventare molto utili per la Buona Stampa”, la Società per la diffusione di una “stampa educatrice moralizzatrice”.
Ok, abbiamo la raccolta della stagnola per una buona causa. Sono anche nominate le missioni, ma manca lo scopo finale: “liberare un negretto”. Forse l’origine potrebbe essere dove meno ce lo saremmo aspettato.
Agosto, moglie mia non ti conosco è un romanzo di Achille Campanile - giornalista, sceneggiatore e scrittore paradossale - pubblicato in prima edizione nel 1930. Una storia grottesca, ambientata in un luogo di villeggiatura sul golfo di Napoli, con cui Campanile si prende gioco della piccola borghesia dell’epoca. Ebbene, ecco alcuni passaggi di questo romanzo, lettissimo per diversi decenni.
“La vecchia si ficcò in bocca un cioccolatino, riponendo accuratamente la stagnola in tasca.
‘Mia madre’, spiegò il padrone di casa a voce altissima, perché l’ottuagenaria era sorda, ‘fa raccolta di stagnole di cioccolatini per liberare un negretto’.
‘Ah’, strillò fortissimo Gedeone, che aveva un cuore eccellente, ‘le manderò qualche stagnola’.
La vecchia fece di no col capo.
‘Vuole raccoglierle tutte da sé’, spiegò Pavoni, ‘è gelosissima di questa sua opera di carità e finora ha mangiato tutti lei i cioccolatini corrispondenti alle stagnole raccolte’.
‘Tutti io!’, disse, con orgoglio e con voce cavernosa, la vecchia, che capiva il discorso dalla mimica.
‘Mi rallegro!’, fece Lanzillo, in tono altissimo, come mai nessuno al mondo ha pronunziato questa semplice frase.
E Pavoni commentò: ‘Sono trent’anni che fa questa raccolta e non quanti chili di stagnola ha messo da parte’.
Si curvò sull’orecchio materno e, con vece stentorea, gridò: ‘Quanto ti manca, mamma, per completare la raccolta necessaria per liberare un negretto?’.
La vecchia, abituata alla domanda, strillò, come se i sordi fossero gli altri: ‘Ho quasi finito. Forse domani posso spedire il pacco, se mi porti una scatola di cioccolatini. Sento che entro domani, potrei raccogliere molte stagnole’.
Il tema della fantomatica “raccolta della stagnola” ritorna anche in chiusura del racconto di Campanile, conducendo a un finale che però non vi sveleremo.
“Quando, quarant’anni prima, la caritatevole signora Pavoni aveva iniziato la sua opera di pietà, informandone come di dovere, il Comitato preposto all’importante e delicato servizio di Liberazione dei Negretti per Mezzo della Stagnole di Cioccolatini, questo, giusta l’usanza, s’era affrettato a destinare il pio plico a beneficio di uno dei tanti negretti che, nelle foreste d’Africa selvaggia, attendono la liberazione dal buon cuore delle nostre dame (lo sappiamo quelle signore frivole che, durante i loro tè, gettano con noncuranza le stagnole delle cioccolatine). La scelta del Comitato cadde sul piccolo Mbumba, un amore di morettino, vispo e irrequieto, il quale, da che seppe la faccenda, non stette più nei panni, per la gioia di essere liberato. Ogni giorno, alla distribuzione della posta, egli chiedeva: ‘arrivato?’, aspettando con ansia il plico che doveva segnare una nuova èra nella sua vita.”
Che sia questa la fonte originale della leggenda non possiamo saperlo. Forse lo scrittore si era a sua volta ispirato ad una voce già in essere; raccolte di francobolli esistevano di certo già alla fine dell’Ottocento: in un certo senso, per le modalità di diffusione furono antesignane delle lettere a catene, quelle che poi in Italia si chiameranno “catene di sant’Antonio”. Certo è che il tema della raccolta benefica aveva colpito Achille Campanile, tant’è che nel precedente romanzo Se la luna mi porta fortuna (1928) - una storia surreale – figura un passaggio a proposito di uno dei protagonisti, don Tancredi:
“Una mattina di sorprese mentre, con gesto automatico, metteva in tasca i biglietti del tram usati, che, fino a poco tempo prima, conservava per sua moglie, la quale ne faceva raccolta, allo scopo di liberare un negretto.”
E così nei decenni, dai biglietti del tram, si è passati alla carta stagnola (magari con l’obiettivo di ottenere un cane per un non vedente, come hanno documentato in questo articolo per il nostro sito Sofia Lincos e Giuseppe Stilo e poi agli scontrini fiscali, ai codici a barre, sino ai tappi di plastica. Leggende metropolitane che in qualche caso si sono tramutate in realtà (come nel caso dei tappi), ma che si basano su un fattore scatenante: sentirsi più buoni accumulando cose inutili e, inconsciamente, giustificando un consumismo sfrenato.
Senza dito si canta meglio
Per tornare a Goldoni, per una strana coincidenza, dieci anni prima dell’intervista immaginaria a Sandra Milo, esattamente il 23 febbraio 1978, il giornalista si era già reso propagatore di un’altra leggenda metropolitana, di nuovo sulla prima pagina del Corriere della Sera. In un articolo di spalla intitolato “Si canta meglio tagliandosi un dito”, il giornalista narrava un episodio con protagonista Maurizio Arcieri (1942-2015), anima insieme alla moglie Christina Moser del gruppo punk rock Krisma.
“Maurizio ha impugnato un rasoio e si è tranciato netto il dito indice della mano sinistra. Il sangue è schizzato sul pubblico: la roulette russa era ridicolizzata e così pure la mensur, cioè lo sfregio sulla guancia di origine prussiana, e così pure le sfide con le macchine di ‘Gioventù bruciata’ con James Dean. Maurizio, un po’ sbiancato in volto, si è lasciato poi convincere a lasciarsi portare all’ospedale, ove quei sanitari – invece di praticargli l’eutanasia per il bene suo, di sua moglie e di noi tutti – gli hanno riappicicato il dito con un’ardita operazione chirurgica.”
La notizia fu ripresa da tutti i media e ripetuta all’infinito. In realtà, Maurizio non si era staccato un dito sul palco. Durante il concerto decise – probabilmente senza rifletterci troppo – di fare una provocazione tipica del movimento punk dell’epoca, anche in risposta a un gruppo di autonomi, militanti di estrema sinistra, che si erano posizionati minacciosi sotto il palco. Il cantante aveva utilizzato una lametta per far saltare i bottoni della camicia rimanendo a torso nudo. Poi si era ferito l’indice della mano destra. Finito il concerto andò all’ospedale più vicino, presso il quale gli furono applicati alcuni punti di sutura.
L’articolo del Corriere promosse il dito da tagliato a mozzato; il clamore della notizia provocò la cancellazione da parte dei gestori di tutti i concerti già programmati dal duo.
Goldoni, come tanti altri suoi colleghi, non avrà inventato leggende metropolitane, ma dimostrò quanto siano forti il legame e la contaminazione tra queste narrazioni, la cultura popolare e i mezzi di informazione, generatori di insospettabili cortocircuiti.
Immagine in evidenza: Luca Goldoni da giovane. Da Wikimedia Commons, immagine in pubblico dominio.
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