
Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo
L’espressione catena di sant’Antonio è nota a tutti: viene usata per indicare tutte quelle lettere, messaggi, post che occorre copiare e inoltrare ad altre persone, creando così una catena continua.
Ma da dove nasce il termine? E a quale sant’Antonio si fa riferimento? Perché è qui che le cose si ingarbugliano.
Un’espressione tipicamente italiana
Come noto, nella tradizione cattolica esistono diversi sant’Antonio, tra cui due famosissimi e molto amati: sant’Antonio abate e sant’Antonio da Padova. Entrambi sono associati a leggende e tradizioni popolari italiane che sconfinano nella superstizione: ricordiamo, per il secondo, le dicerie sulla fine della Prima Guerra Mondiale, il legamento d’amore da fare nella festa del santo e le invocazioni per ritrovare gli oggetti perduti; per il primo, i legami con il fuoco di sant’Antonio e le benedizioni a protezione degli animali.
Aggiungiamo che il termine è usato praticamente solo in Italia (e un po’ in Francia). Nel mondo anglosassone si parla più genericamente di chain letters, lettere a catena. Il che non stupisce, dal momento che si tratta di Paesi in prevalenza protestanti (le loro catene di preghiera non fanno riferimento a santi, contengono per lo più invocazioni a Dio e Gesù oppure versetti biblici). E anche da noi, quando sorsero le prime catene, nel Diciannovesimo secolo, il nome che le avrebbe immortalate non era ancora utilizzato: si preferivano termini come lettere boule de neige o catene di preghiere. L’espressione che ben conosciamo comincia a comparire in modo significativo solo a partire dai primi anni Trenta. La prima occorrenza che abbiamo trovato risale al gennaio 1928:
Attenzione!!! Esistono ancora cattolici, o meglio acattolici, nell’Ossola, così stupidamente creduloni, da trascrivere per timore di sventura, entro 24 ore, e inviare con nauseante insistenza perfino ai propri Parroci, le nove copie della famosa lettera “Catena” di S.Antonio. Pur scusando la buona fede, ripetiamo a tali cristianelli banalmente ignoranti: Questa non è religione, ma schietta superstizione e la superstizione, oltre che stoltezza, è peccato! E voi credendo e diffondendo la “Catena” peccate!! È chiaro? A tali scritti un’occhiata di commiserazione, e poi il fuoco. l’immondezzaio!! Ecco il vostro dovere!!! (Il Popolo dell’Ossola, Domodossola, 20 gennaio 1928)
Nello stesso anno, l’espressione “catena di Sant’Antonio” è attestata da diversi articoli di giornale, come il Corriere della Sera del 3 aprile 1928 che definiva le nostre missive uno scherzo “stupido e malvagio”, scritte da un “anonimo fanatico”. E così pure, poco tempo prima, il bollettino parrocchiale di Genova-Bolzaneto Voce della Madre del marzo 1928, che titolava “Basta con le catene di sant’Antonio”. Dunque, nel 1928 le catene erano ormai diventate ufficialmente “catene di sant’Antonio”.
Ma come si era arrivati a questo nomignolo? Le congetture, a questo proposito, sono molteplici.
Ipotesi 1: una catena particolarmente diffusa
L’ipotesi più probabile è che le catene siano state denominate così a partire da una particolare variante della catena particolarmente diffusa. Non è raro, in effetti, trovare versioni delle nostre lettere che si presentano come una particolare forma di devozione a questo santo (se si tratti di sant’Antonio abate o di sant’Antonio da Padova, però, non è mai specificato).
Non ultimo, va anche tenuto presente che esistevano, sia pure in forma in apparenza meno diffusa, altre lettere a catena con preghiere rivolte ad altri santi. In un’occasione abbiamo anche rinvenuto l’espressione “catena di santa Teresina”, più che probabile riferimento a Teresa di Lisieux, canonizzata da Pio XI nel 1925, cioè quando i “nomi propri” della lettera a catena stavano per cominciare a comparire nel nostro paese. Peraltro, a nostra conoscenza si tratta del solo caso in cui le catene superstiziose sono poste sotto l’egida di una figura femminile.
Ipotesi 2: l’Opera del pane di Sant'Antonio (da Padova)
Nel suo sito di varia cultura Summa Gallicana, ormai parecchi anni fa il medico Elio Corti avanzava, ma senza evidenze documentarie, una congettura secondo la quale le catene sarebbero nate da una progressiva trasformazione di un’offerta di preghiere all’Antonio di Padova in quelle, più concrete, di offerte in denaro alla figura taumaturgica del santo.
Quale sia l'aggancio con Sant'Antonio da Padova sarebbe comunque tutto da chiarire, e ci proveremo. Col passare dei lustri non si pretese più dai destinatari dei messaggi una recita di preghiere, bensì un'elargizione di denaro. Allora l'aggancio con il santo portoghese sarebbe facile. Infatti, data la sua fama di taumaturgo, i genitori, per impetrarne la protezione sui figli, facevano voto di offrire ai poveri grano e denaro equivalenti al peso dei rampolli, onde una speciale benedictio ad pondus pueri. Questa pratica ricevette il nome di Opera del pane di Sant'Antonio, ma nel XIX secolo si trasformò in elargizione dell'equivalente in denaro. Ecco perché si cominciò a ricevere una ridda di messaggi, precursori dei futuri SMS, che non incitavano alla preghiera, bensì a un'ingiunzione di questo tipo: o elargisci i tuoi soldi ad altre persone, oppure Sant'Antonio te la farà pagare cara. Così Sant'Antonio passò dalla moltiplicazione delle preghiere a quella del vile denaro.
Ipotesi 3: il santo postino e i francobollini antoniani
A livello popolare, Sant’Antonio da Padova è invocato per ottenere la grazia di far giungere la posta che si sta attendendo. La ragione di questa tradizione poggia su un curioso episodio della vita del santo, in cui il predicatore avrebbe avuto contatti con un angelo… nella forma di un portalettere. Ecco la storia (dal sito web Aleteia):
Esaminando varie biografie di questo santo dottore si legge che mentre nell’ultimo periodo della sua vita dimorava nel convento di Padova ebbe un momento di grande spossatezza dovuto all’essersi molto impegnato nella predicazione, nell’ascoltare le confessioni, nel dare consigli spirituali, nell’aiutare ogni tipo di bisognoso. Desideroso di un periodo di quiete scrisse al Padre Provinciale dei francescani del Veneto (anche oggi sono i frati Padri Provinciali che decidono lo spostamento dei frati nei vari conventi) affinché gli concedesse di trasferirsi per un po’ di tempo in un convento francescano situato in un luogo più solitario per ritemprarsi. Preparata la domanda, la lasciò in un cassetto nella sua cella, chiuse bene la porta e si recò dal Padre guardiano per pregarlo di trovare qualcuno che recapitasse una lettera che aveva scritto al Padre Provinciale dei francescani del Veneto (che dimorava molto probabilmente a Venezia) allo stesso Padre Provinciale. ”Bene – rispose il Padre guardiano – appena lo trovo te lo faccio sapere”. Tornato nella sua cella Antonio con grande disappunto non trovò più la sua lettera. Sicuro che nessuno poteva averla presa a sua insaputa pensò che non l’aveva trovata perché a Dio non piaceva che si allontanasse da Padova. Si rassegnò. Tornato dal Padre guardiano lo esortò, scusandosi, a non cercare più chi potesse portare la sua lettera al Padre Provinciale. Aveva deciso di non fargli pervenire più nessuna lettera. Dopo alcuni giorni Antonio ricevette lui una lettera dal Padre Provinciale che gli consentiva, in risposta alla sua richiesta, di passare un po’ di tempo in un convento più tranquillo. Fu un angelo sotto l’aspetto di un portalettere a recapitare al santo la risposta del Padre Provinciale. E lo stesso angelo gli disse che era stato lui a recapitare la sua richiesta scritta al superiore dei francescani del Veneto. Perciò Antonio non l’aveva trovata. Per questo episodio S. Antonio è invocato anche come patrono dell’arrivo della posta.
Nell’Ottocento si diffuse inoltre in diversi paesi l’abitudine di scrivere sulle lettere l’abbreviazione S.A.G. (St. Anthony Guide), per assicurarsi la protezione del santo. Anche qui, la storia sarebbe legata a un miracolo del 1729: una donna spagnola, disperata per non aver più notizie del marito emigrato a Lima, avrebbe affidato una delle sue lettere a una statua di sant’Antonio conservata presso un santuario di Oviedo; tornata il giorno dopo, si sarebbe accorta che la busta conteneva in realtà una lettera del marito. E non è tutto: nella risposta, l’uomo affermava di aver ricevuto la lettera della moglie grazie a un misterioso “Padre dell’ordine di san Francesco”.
Intorno agli anni '20 i monasteri francescani pensarono bene di monetizzare la leggenda del “santo postino” stampando appositi francobollini “antoniani”. Erano venduti dai santuari come mezzo per assicurare alle lettere una speciale protezione celeste e ne esistevano diverse tipologie (qui se ne possono vedere alcuni).
L’archivista Lucia Graziano, esperta di tradizioni cattoliche, ipotizza che il nome “catena di sant’Antonio” possa essere legato proprio a questa tradizione: le lettere chiuse con i francobollini antoniani, a mo’ di ulteriore atto di devozione, avrebbero poi cominciato ad essere associate alle catene di sant’Antonio per intero. L’ipotesi è senz’altro affascinante, ma anche in questo caso mancano prove a supporto.
Ipotesi 4: Sant’Antonio abate e Balachius
Un’ipotesi particolarmente popolare sul web (anche su siti dedicati al debunking) è che il nostro nome derivi da un episodio della vita di sant’Antonio abate. La spiegazione, peraltro, è piuttosto popolare anche sui siti dedicati all’omonimo padovano, in particolare su quelli che cercano in qualche modo di “discolpare” il loro santo prediletto dal legame con la pratica superstiziosa. Ad ogni modo, l’episodio sarebbe questo:
Unica cosa certa riguarda il Sant’Antonio citato: non è quello da Padova, ma San’Antonio Abate (250-356 dC) eremita che, secondo la leggenda, un giorno scrisse al duca di Egitto, tal Ballachio, una lettera in cui cordialmente lo avvisava che se avesse continuato a perseguitare i Cristiani, Dio lo avrebbe punito uccidendolo; infine lo esortava a spedire quella stessa lettera a tutti gli altri notabili della zona che si comportavano come lui. Ballachio ne sghignazzò e distrusse la missiva; ma pochi giorni dopo il suo mansuetissimo cavallo lo disarcionò, uccidendolo. La combinazione degli eventi battezzò così la bieca usanza delle catene.
Il problema di quest’ipotesi è che nelle versioni antiche della storia non c’è nessuna menzione dell’ingiunzione a mandare ad altri la missiva. La fonte più popolare per questa vicenda è sicuramente la vita di sant’Antonio abate contenuta nella Leggenda aurea di Jacopo da Varagine. Nella sua versione, il santo scrive effettivamente a Balachius:
“Vedo l’ira di Dio che incombe su di te. Ora, cessa di perseguitare i cristiani, acciocché l'ira di Dio non ti colpisca, ché tu ben presto non durerai per sempre (minatur interitum)”. L'infelice lesse la lettera, e, sputatovi sopra, la scagliò per terra, e ne fece vergare a sangue i latori con molti colpi, e ad Antonio quelli rinviò.
Cinque giorni dopo il suo cavallo, solitamente mansuetissimo, lo disarcionò e lo uccise. La lettera non viene trasmessa ad altri, né il santo ordina a Ballachio di farlo. Dunque, il legame con le catene è piuttosto flebile; l’associazione tra le catene e questo episodio, inoltre, sembra essere sorta soltanto negli ultimi anni, forse proprio per allontanare i sospetti dal santo padovano.
Ipotesi 5: un legame con le “lettere dal cielo” del Diciannovesimo secolo?
In questo caso, l’ipotesi è che sia circolata, nei primi decenni del Novecento, una particolare lettera a catena che si diceva consegnata direttamente da sant’Antonio da Padova, un po’ sul modello delle vecchie “lettere dal cielo” che, come abbiamo ampiamente raccontato su Quaderni di semantica (“Le origini e la prima diffusione delle ‘catene di sant’Antonio’ in Italia”, Quaderni di semantica. Rivista internazionale di semantica teorica e applicata, vol. 5, 2019, pp. 307-368), sotto vari profili furono le progenitrici delle nostre moderne catene postali.
Per la sua grandissima popolarità, durante la Grande Guerra il predicatore fu oggetto dello sviluppo di nuove - o rinnovate - forme di folklore. Ne è un esempio la voce, circolata nel maggio del 1916 a Torino, secondo cui il santo era apparso in città predicendo la fine del conflitto per il 13 giugno di quell’anno, giorno in cui è ricordato nel calendario.
Con la Grande Guerra, Padova si trovò a vivere, da centro urbano di grande importanza, il ruolo di retrovia del fronte e, al contempo, di sede del Quartier Generale del Regio Esercito. Le trincee, che si trovavano relativamente vicine, vedevano i soldati ricevere da casa un’enorme quantità di lettere a catena con preghiere da girare in più copie, che, più che la vittoria, preconizzavano la pace, e comunque la rapida fine della guerra. Portandole addosso si sperava di salvarsi dal tiro dei cecchini e dagli spari dell’artiglieria.
Queste lettere finivano spesso tra le maglie della censura: il sospetto era che in qualche misura veicolassero fra le città, le retrovie e il fronte forme di un sia pur confuso pacifismo, e che “deprimessero” il morale e lo sforzo bellico. Potrebbe anche darsi, dunque, che l’attribuzione ad Antonio sia nata in quel contesto bellico, come una delle tante lettere che si dicevano di derivazione divina; ne è un esempio la lettera “pacifista” conservata presso l’Archivio Vescovile di Novara inviata il 17 ottobre 1915, da un soldato di Fara Novarese all’arciprete di quel paese.
Un fatto successo a Loretto, mentre le truppe passavano anno visto una donna sparire che lasciò cadere un bilietto per fare cessare la guerra…. Questo mesto momento deve andare per tutto il mondo coppiatelo quattro volte. Datela a quattro persone diverse e che nel termine di 9 giorni avrete una grazia, ma se trascurato avrete una disgrazia. Dite quattro volte Viva Gesù, Viva Maria… Recitate quattro orazioni di Dio e di Maria e coppiatela quattro volte.
Potrebbe essere esistita una lettera simile in cui la fonte prima, al posto di essere una fantasmatica donna di Loreto, era proprio sant’Antonio da Padova? Purtroppo, ne sappiamo troppo poco per elaborare ulteriormente il punto. Non ultimo, è da ostacolo il fatto che il primo impiego del termine a noi noto, come visto, è del gennaio 1928, quando la Grande Guerra era terminata da più di nove anni. Per quel periodo di mezzo disponiamo di parecchi riferimenti alle catene, ma nessuna che menzioni il santo venerato nel capoluogo veneto.
Infine: tra i due sant’Antonio, il terzo gode? Ovvero: sant’Antonio de Group (e le sottovarianti)
Dalle ipotesi riportate fin qui, risulta evidente che attribuire le catene a sant’Antonio da Padova o a sant’Antonio abate è una questione di mera simpatia personale. Ma se le catene fossero attribuite a un terzo sant’Antonio?
Nel 1997, il folklorista francese Jean-Loïc Le Quellec (autore di Alcool de singe et liqueur de vipère) pubblicò un articolo intitolato From Celestial Letters to 'Copylore' and 'Screenlore’ (in Réseaux. Communication - Technologie - Société, vol. 5-1, pp. 113-144).
Presentando una carrellata di preghiere a catena che circolavano negli anni Novanta, Le Quellec riportava la presenza in Italia di lettere scritte da Saint Anthony de Group (o de Groff, de Croft, Do Group), che si diceva missionario in Sudamerica, spesso in Venezuela (o più raramente in Sudafrica). La lettera circolò nel 1980 in Inghilterra (dove l’autore era Saul Anthony de Croft), poi nel 1995 in Francia (dove era diventato Saoul Anthony De Group). Siamo quindi in presenza di un ulteriore sant’Antonio, sconosciuto agli elenchi della chiesa cattolica?
In realtà, le versioni riportate da Le Quellec sono un po’ troppo tarde rispetto alle prime menzioni dell’espressione “catena di sant’Antonio”: quando la lettera circolava in inghilterra, in Italia si chiamavano già così da almeno 50 anni. Non si può escludere a priori che il sant’Antonio di riferimento sia un altro, totalmente di fantasia; ma è più probabile che sant’Antonio de Group sia semplicemente il frutto di diversi errori di copiatura.
Studi comparativi, in effetti, hanno fatto discendere il modello di lettera riportato da Le Quellec da altre catene di buona fortuna circolanti nei Paesi Bassi e iniziate, secondo quanto riportato, da un missionario sudamericano di nome St. Antoine de Cadiz, o Saul Anthoni, o Antonio Cospier. Come ha fatto notare lo stesso Le Quellec, potrebbe essersi semplicemente trattato di successive trasformazioni, dovute alla difficoltà di decifrazione della scrittura, che avrebbe portato da Sant’Antonio da Padova (of Padua) a De Groupe (con tutte le sottovarianti). E il nostro consueto santo, che era uscito dalla finestra, rientra dalla porta…
Immagine in evidenza: la basilica di sant'Antonio da Padova, da Pixabay. Foto di NakNakNak
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