Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo
Una donna cammina per la strada, quando sente in una natica il dolore di una puntura. Si gira, scruta i passanti, ma lo sconosciuto si è ormai dileguato…
Questa scena - vera o immaginata - si ripresentò più e più volte nella Parigi del 1819-1820. Agli occhi dei francesi si trattava di di un nuovo genere di aggressione, che finì ben presto per generare una vera e propria psicosi. Oltre quattrocento furono i casi denunciati in pochi mesi. Questo “panico da punture” è stato ricostruito nel 2013 dallo storico Emmanuel Fureix (“Histoire d'une peur urbaine: des “piqueurs” de femmes sous la Restauration”, in Revue d’histoire moderne & contemporaine, 2013/3. pp. 31-54).
Si trattò, scrive Fureix, di “una storia di perversioni sessuali, di voci e d’immaginazioni politiche”, cui si sommarono probabilmente aggressioni vere, panico morale, semplici sensazioni, paure e leggende contemporanee (e nella quale, a un certo punto, le possibili spiegazioni su quella strana epidemia presero una piega decisamente complottista).
L’inizio dei fatti
I primi casi di “aggressioni con punture” iniziarono probabilmente nell’estate del 1819. Gli episodi passarono quasi sotto silenzio, ma a poco a poco i timori raggiunsero anche la sfera pubblica. Il 18 e il 20 novembre un giornale liberale, La Renommé, raccontò ai lettori di aver raccolto “diverse lamentele” da parte di donne parigine su quel nuovo tipo di attacco. Le punture, che colpivano sempre e soltanto donne, avvenivano in genere nelle parti posteriori. La Renommé riteneva che le aggressioni fossero opera di un maniaco spinto da un “senso di depravazione”.
Il 4 dicembre 1819 la prefettura di polizia riferì ai giornali che in effetti erano stati segnalati diversi reati di quel tipo. Se ne parlava, era per poter più facilmente identificarne l'autore, anche a rischio di accrescere il senso di paura:
Prefettura di polizia: un individuo che non è stato ancora identificato prova da tempo un piacere crudele nel pungere da dietro, con un punzone o con un lungo ago attaccato alla punta di un bastone o di un ombrello, giovani di età compresa tra i quindici e i vent’anni, che incontra per caso nelle strade, in piazza o nelle passeggiate pubbliche. […] Sua Eccellenza il Ministro dello Stato e Prefetto di Polizia ha impartito i più severi ordini per l'arresto di questo individuo che, fino ad ora, è sfuggito a tutte le indagini. Poiché è importante scoprire l'autore di tali attacchi, si ritiene che debbano essere portati all'attenzione del pubblico e che tutti i cittadini si uniscano alle autorità per garantire che non rimangano impuniti (Le Moniteur, 4 dicembre 1819).
L’appello non fece altro che scatenare il panico, aumentando le notizie sulle aggressioni. Tra l'8 e il 28 dicembre, si registrarono almeno ventotto punture, denunciate alle forze dell’ordine, a un medico o a un quotidiano. Man mano che le notizie riempivano i giornali, i casi si moltiplicavano.
Un nome nuovo per un crimine nuovo
Si trattava di una tipologia inedita di delitto, che non corrispondeva né alle violenze abituali, né alle categorie giuridiche esistenti. Nella giurisprudenza dell’epoca esisteva il reato di “atto indecente” o di “aggressione indecente”, ossia due delitti nelle cui fattispecie era difficile far rientrare quelle novità. Eppure, era indubbio che in quegli episodi ci fossero connotazioni sessuali. La polizia coniò per questi “nuovi criminali” un nome nuovo, presto rilanciato dalla stampa: piqueurs (“punzecchiatori”).
Le aggressioni avvenivano di solito alla sera, in spazi pubblici di interazione tra i due sessi: un palco a teatro, un mercato, a volte un negozio; ancora più spesso, avevano per scena strade o piazze. I corpi che si sfioravano in mezzo alla folla incoraggiavano il crimine. Lì le vittime - giovani donne “oneste” che lavoravano in casa o in bottega - erano punte spesso fino a farne uscire il sangue.
I criminali non sceglievano a caso, ma cercavano le cosiddette oies blanches (“oche bianche”): ragazze “innocenti”, vestite modestamente, magari dall’aria timida e casta; una tipologia di donna oggetto di fantasie maschili e onnipresente nella letteratura romantica. Parlando del colpevole, i giornali sottolineavano:
Le donne contro cui sembra aver preferito mettere in atto la sua mania [...] sono proprio quelle giovani i cui modi immacolati, una timidezza naturale, o il timore di suscitare scalpore o scandalo hanno impedito loro di lamentarsi, non appena ferite (Le Moniteur Universel, 4 dicembre 1819). La maggior parte di queste donne si distingue per giovinezza, la beltà del volto e la modestia del portamento (Le Journal des débats politiques et littéraires, 2 febbraio 1820).
Se in un primo tempo i piqueurs si concentrarono sui posteriori delle vittime, in seguito si rivolsero a parti del corpo meno sessualizzate, ma anche più accessibili: fianchi, braccia, mani o anche piedi.
Un “feticismo criminale”
Nella Parigi della prima parte dell’Ottocento molestie e aggressioni alle donne non erano inconsuete. Si trattava però di crimini che di norma si verificavano di notte ed avevano per vittime le prostitute. Erano perseguiti senza entusiasmo dalle forze dell’ordine: le nottambule non godevano certo di buona reputazione, e la polizia non perdeva tempo a cercare gli aggressori. Quella nuova ondata di violenze, però, coinvolgeva donne ben integrate nel tessuto sociale, e quindi andava fermata. Non era solo e tanto un attacco all’incolumità delle persone, ma alla morale sociale e all’ordine pubblico.
Per trovare il colpevole, la polizia si rivolse alle categorie mediche del tempo: l’aggressore doveva essere un vizioso, un uomo travolto dalla sua perversione sessuale. Forse, come ipotizzarono alcuni giornali, si trattava di un ricco libertino che aveva ormai sperimentato tutti gli altri piaceri e ora si era rivolto a quello (La Renommée del 9 dicembre 1819). Il modello era quello del Marchese de Sade e dei suoi romanzi, o, forse, quello del vampiro nobile e altolocato, pronto ad eccitarsi alla vista del sangue (proprio nel 1819 era uscito Il vampiro, inizialmente attribuito a Lord Byron ma in realtà di John Polidori).
Così, le forze dell’ordine cominciarono a perlustrare i bordelli di Parigi alla ricerca di individui “con i gusti più strani e le passioni più terribili". D’altra parte, la polizia non aveva molti elementi su cui lavorare: in stato di shock, spesso le vittime non erano in grado di descrivere gli aggressori. L’apparente invisibilità, l’ inafferrabilità e l’ubiquità dei piqueurs contribuirono alla paura che stava montando. Al culmine della psicosi, alcune parigine scappavano all'avvicinarsi di uno sconosciuto, additavano i passanti come mostri o incitavano all'arresto di innocenti.
Il panico da punture sbarca in provincia
A distanza di qualche settimana dalla loro esplosione nella capitale, le paure dilagarono anche in diverse città di provincia. Fureix descrive alcuni episodi simili a quelli parigini, riferiti dalla Polizia al Ministero dell’Interno. A Lione, ad esempio, tre casi di “punture” suscitarono allarme tra le forze dell’ordine a causa della credulità, dei commenti, e della novità del fenomeno. Esaminando una delle vittime, i medici rilevarono l’assenza di lesioni e conclusero che
...un'immaginazione molto eccitata può rendere un individuo sicuro di una condizione inesistente (Lettera del luogotenente di polizia di Lione al Ministero dell’Interno, 31 dicembre 1819).
Il 3 gennaio 1820, a Rouen, il prefetto del dipartimento della Bassa Senna riferiva invece al Ministero che un passante era stato erroneamente identificato come piqueur e salvato dal linciaggio. Così commentava:
mille storie, alcune più assurde di altre, si diffondono ogni giorno, e il giorno dopo si dimostrano assurde e false.
La paura, in effetti, aveva portato alla nascita di leggende di ogni tipo. Se alcune aggressioni erano forse reali, accanto ad esse erano germinate nuove narrazioni, di dubbia autenticità. Scrive ancora Fureix:
A Bordeaux, incidenti comuni - il morso di una pulce, una scheggia, un colpo dalla stecca di un ombrello - sono stati attribuiti a una banda di piqueurs. A Lione, una conversazione origliata fece temere un attacco natalizio di piqueurs: “Un uomo aveva sentito dei giovani proporre di andare alla messa di mezzanotte con spilli attaccati alle maniche dei loro vestiti, con le punte rivolte verso l'esterno, per punzecchiare gente tra la folla”. Voci di avvelenamenti in seguito a una puntura e sulla morte di diverse vittime per via delle ferite circolarono sulla stampa e nelle piazze parigine.
La stampa, dal canto suo, non contribuiva a far chiarezza. A volte sovrapponeva episodi diversi - ad esempio un’aggressione domestica a una puntura - o spacciava per un letale delitto dei piqueurs quella che era una ben più banale morte dovuta a polmoniti o ad altre infezioni.
In certi casi, i giornali pubblicarono resoconti inventati di sana pianta. Se lo sappiamo, è per i controlli fatti dalla polizia parigina: gli editori di tutte le testate della città vennero convocati dal prefetto e interrogati per capire le prove su cui si basavano i loro racconti. In molti casi, le fonti delle notizie si rivelarono essere voci diffuse di bocca in bocca e conversazioni ascoltate nei teatri.
La dimensione pop dei piqueurs
La polizia aveva ragione d’inquiterarsi: su vari giornali fioccavano le polemiche contro le forze dell’ordine. La paura dilagante era amplificata da una stampa che si basava su dicerie, titoli strillati e polemiche politiche. Come se non bastasse, a cominciare dalla metà di dicembre del 1819 presero a circolare fogli volanti e a nascere canzoni di strada sul tema dei piqueurs. In certi casi, medici e farmacisti fiutarono l’affare e iniziarono a pubblicizzare cure e antidoti contro le punture.
Ma il terrore non fu l’unico sentimento suscitato dal fenomeno. Con il passare delle settimane comparvero vignette e scherzi. I giornali giocavano sui doppi sensi e sulla componente sessuale del fenomeno, puntando sul ridicolo.
Qualche esempio: un’acquaforte del dicembre 1819 mostrava una donna incinta, accompagnata dalla didascalia Résultat d'une piqûre (“Gli effetti di una puntura”). Una Strenna per l’anno 1820 metteva invece in scena un Préservatif contre la piqûre (“Antidoto contro la puntura”), un finto posteriore in ferro forgiato da un fabbro. C’era poi una litografia intitolata Beau trait de sensibilité conjugale ou la piqûre empoisonnée (“Bella prova di sensibilità coniugale, o della puntura avvelenata”), in cui un marito si trovava costretto a succhiar via il veleno dal sedere della propria consorte.
Burle e prese in giro erano presenti anche nelle conversazioni comuni; a Lione, ad esempio, sappiamo che i giovani scherzavano di continuo sulla questione agli spettacoli inscenati nei teatrini di quartiere o per le strade. In un bordello della stessa città, un cliente si trovò a dire, durante una discussione con una prostituta:
Dovresti star zitta, si vede che non sai chi sono io [...] Sono uno dei piqueur, e se continui a urlare così forte, finirai punta anche tu.
L’episodio è raccontato nella già citata lettera della polizia di Lione, che avviò un’indagine - senza arrivare a nulla di concreto. A Bruxelles erano i bambini stessi a giocare ai piqueurs, sulla scorta di ciò che si raccontava a Parigi...
Le punture e i punzonatori, insomma, diventarono qualcosa di divertente o da sfidare, una questione popolare che alimentava la derisione e minimizzava le testimonianze delle vittime. Poco a poco l’ondata dei piqueurs ripiegò e cessò.
I piqueurs come complotto politico
Fin da subito, oltre alla dimensione criminale e a quella del ridicolo, si unirono le congetture su possibili cause di ordine superiore. Tutti quei casi che si moltiplicavano potevano essere frutto delle azioni di un’organizzazione clandestina? Il 14 dicembre 1819 Le Censeur européen parlava di un
esercito di assassini sconosciuti che al calar della notte si sparge nei vari quartieri della capitale.
I liberali, dal canto loro, leggevano il fenomeno alla luce dei massacri legati al cosiddetto Terrore bianco. Quando nel 1815 l’impero napoleonico si dissolse in modo definitivo, non furono pochi i monarchici che si vendicarono sui vecchi nemici con violenze ai danni di repubblicani, bonapartisti e liberali. Così, il 9 dicembre 1819 La Renommée scriveva che l’organizzazione dei piqueurs
[cit]ricorda fin troppo le vicende di Nîmes dove, durante la reazione del 1815, le donne furono fustigate con fruste munite di punte acuminate che impressero su di loro la forma del giglio [il simbolo della monarchia deposta dalla Rivoluzione, NdR].[fine cit]
Quell’interpretazione era sostenuta da un altro giornale liberale, Le Censeur Européen, che quattro giorni dopo, il 13 dicembre, ricordava anch’esso i massacri di Nîmes, affermando che anche loro erano “iniziati con le punture”. Era forse l’alba di un nuovo Terrore monarchico? Alla ricerca di prove, fu studiato anche l’aspetto delle punture. Certo, le ferite non sembravano riprodurre il giglio di Francia, però in qualche caso assumevano i contorni di una croce, il che faceva indubbiamente pensare a spie della Chiesa cattolica reazionaria. Così, Les Lettres Normandes del 14 dicembre commentavano, dando credito a una diceria:
Si dice che recentemente sia stato sequestrato uno degli strumenti usati dai piqueurs: è uno stiletto sulla cui estremità insanguinata c'è una piccola croce; solo i gesuiti che sono diventati spie della polizia potrebbero divertirsi con simili intrattenimenti.
Se i liberali davano la colpa ai monarchici, i monarchici più infervorati accusavano invece i giacobini di aver montato tutta la faccenda per destabilizzare lo Stato. Il 16 dicembre La Gazette de France spiegava:
In primo luogo, il risultato principale delle punture è la diffusione del terrore e della costernazione tra quella rispettabile classe di persone che ama il re e la pace. […] Si sa che giacobini e terrore vanno assai d'accordo, soprattutto quando si tratta di vendicarsi dei legittimisti. In secondo luogo, queste terribili punture che stanno obbligando un gran numero di persone, e soprattutto donne, a chiudersi in casa, stanno causando gravi danni commerciali in questo periodo dell'anno. [….] Ci sono voci e mormorii secondo cui il comparto commerciale sarebbe in sofferenza, e le lamentele sono sempre musica per le orecchie dei giacobini.
Per i giornali monarchici il piano era chiaro: le "notizie allarmanti" sui piqueurs miravano a indebolire il commercio e ad aumentare il malcontento tra i lavoratori. Questi ultimi, vista l’impotenza della polizia, sarebbero stati costretti a difendersi da soli e ad impugnare le armi - e allora, forse, ci sarebbe stata una nuova e più tremenda rivoluzione.
I piqueurs come spie della polizia
In mezzo a tutte queste cospirazioni di segno contrario, c’era poi chi dava la colpa alla polizia stessa. A sostegno di questa ipotesi si citava il rilascio immediato di alcuni sospetti piqueurs, che le forze dell’ordine avevano sottratto al linciaggio. Anche l’apparente inerzia della polizia a fronte del gran numero di denunce veniva guardata con un certo sospetto. Ma a che pro un tale atteggiamento?
A quei tempi il nuovo, moderno servizio di polizia segreta sorto sotto Napoleone e sopravvissuto alla sua caduta, la Sûreté Nationale, era capeggiato dal popolarissimo e chiacchierato Eugène-François Vidocq, ex carcerato e avventuriero. Vidocq intratteneva continuamente rapporti con la malavita, adoperava pratiche discutibili, spie e agitatori politici. Oggetto di moltissime trasposizioni letterarie, le voci che filtravano circa i suoi metodi lo rendevano impopolare e temuto al tempo stesso.
Anche per questo le dicerie, sovente contraddittorie, si sprecavano. Qualcuno affermava che i piqueurs avevano il compito politico di distrarre l'attenzione dell'opinione pubblica dai rivolgimenti del momento e soprattutto dal dibattito su una controversa legge elettorale in discussione proprio in quel periodo. Altri invece pensavano potesse trattarsi di un piano della polizia di Vidocq per dimostrarsi sempre necessaria agli occhi dei cittadini. Il 12 dicembre 1819 La Renommée scriveva:
In queste circostanze particolarmente difficili, ogni mezzo per riconquistare il potere è considerato buono. Non c'è modo migliore per riappropriarsene che quello di far sentire ai cittadini allarmati il bisogno dei propri servizi. Da qui, dicono, l'invenzione della confraternita dei piqueurs.
Il tramonto del fenomeno
Gli attacchi dei piqueurs durarono alcune settimane. A fine dicembre la polizia di Vidocq arrestò Auguste-Marie Bizeul: a quanto pare, era stato sorpreso in flagrante mentre pungeva una delle prostitute usate come esca dalle forze dell’ordine. Si trattava di un garzone che lavorava presso una sartoria, quindi uno che di aghi ne aveva a disposizione e se ne intendeva; non proprio, tuttavia, lo stereotipo del ricco annoiato e perverso su cui puntava buona parte della stampa.
Il processo a Bizeul, svoltosi tra il gennaio e il febbraio del 1820, fu seguito con grande curiosità dal pubblico parigino. Nonostante la fragilità delle prove a suo carico (era stato riconosciuto da sole tre vittime) e i suoi tentativi di proclamarsi innocente, Bizeul fu condannato a cinque anni di prigione e a una multa.
Con l’anno nuovo, il 1820, le aggressioni dei piqueurs svanirono, anche se ci furono alcuni casi sporadici in provincia nelle settimane e nei mesi successivi. A Parigi la psicosi da punture tornò per breve tempo nell’ottobre del 1822, e per una terza volta nel novembre-dicembre del 1823. In sostanza, però, la grande paura si chiuse quando l’attenzione dell’opinone pubblica fu assorbita quasi interamente da un evento assai più grave, l'assassinio del duca di Berry, avvenuto il 13 febbraio 1820. I punzecchiatori, ormai, non erano più di moda.
Quello di Emmanuel Fureix è un lavoro di antropologia storica di grande interesse ai nostri occhi. In un momento di tensioni politiche tra legittimisti, ex-bonapartisti e liberali, a Parigi, sia pure per breve tempo, la paura collettiva generò idee complottiste e leggende metropolitane. In gioco c’era la vulnerabilità dei corpi - e in particolare quella dei corpi femminili - nella grande città inquieta che cercava un suo equilibrio dopo il lungo periodo di rivolgimenti iniziato nel 1789. I giornali, che si battevano per il predominio del pubblico borghese e di quello popolare più colto nel quadro della restaurazione, cavalcarono la storia per qualche settimana.
La paura dei punzecchiatori tornerà a presentarsi molte volte, in altri tempi e in altri luoghi. Anche l’Italia ha avuto le sue; altrove abbiamo descritto ciò che accadde nella Trieste del 1932, dove imperversava l’uomo vespa, con il suo strascico di falsi allarmi e di leggende. In epoche più recenti, la paura degli aghi assumerà altre forme e incarnerà altri miti, come con le vaccinazioni avvelenate del 1917-18 o con gli “aghi infetti” dall’AIDS negli anni Ottanta del secolo scorso. Ma, come si dice, questa è un’altra storia.
Immagine in evidenza: la zona dell'Île de la Cité con la Senna, dal piano stradale della città di Parigi e dei suoi dintorni per l'anno 1819.
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