Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo
Possibile scambiare ebrei per nazisti? Possibile radunarsi in fretta e furia per andare a dargli una lezione, rischiando un tragico equivoco?
Come saprete se frequentate questo sito, la storia è piena di fraintendimenti paradossali. E in effetti qualcosa del genere accadde davvero in Liguria, a La Spezia. Siamo nel 1946, subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale: un periodo in cui gli ebrei europei scampati alla Shoah cercano di emigrare in massa verso la Palestina, facendo pressioni in tutti i modi - anche con la violenza - sulle autorità britanniche che la controllavano, perché acconsentissero alla creazione di uno Stato ebraico su quel territorio; un processo segnato da uno scontro sempre più aperto con i Paesi arabi, in verità già strisciante da anni, che arriverà al culmine il 14 maggio 1948 con la proclamazione dello Stato di Israele e l’inizio delle guerre arabo-israeliane.
La voce che vogliamo commentare è giunta fino a noi - fra l’altro - grazie a un documento dell’epoca conservato presso l’Archivio di Stato di La Spezia, e pubblicato nel maggio 2021 dall’account Instagram dell’ente.
Si tratta della minuta dattiloscritta di una relazione (protocollo n. 3522) datata 7 aprile 1946, lunga quattro pagine e inviata dal prefetto di La Spezia alla Direzione generale della Pubblica Sicurezza, a Roma.
Che cosa era successo?
Qualche settimana prima del 7 aprile, in città si era creato un forte fermento: le voci diffuse tra la popolazione raccontavano che dal porto cittadino si stava preparando un espatrio clandestino di fascisti e di militari delle SS. Queste dicerie furono abbastanza forti da giungere all’attenzione delle autorità di Polizia; ed è proprio da qui che si mise in moto un meccanismo di autoalimentazione che cercheremo di seguire con cura.
Qualche informatore riferì infatti alla Prefettura che al porto c’erano due navi di modesto tonnellaggio, che in modo discreto stavano caricando grandi quantità di viveri. La cosa fece crescere i sospetti. La notte del 3 aprile la Guardia di Finanza ispezionò il motoveliero “Fede”, ormeggiato presso il Molo Pirelli, ed ebbe la conferma che non solo i viveri c’erano, ma che una parte dell’imbarcazione era stata adattata per trasportare molti passeggeri. Furono fermati un agente marittimo di Genova, della compagnia Musso, e un grosso industriale spezzino, Renzo Bargiacchi, titolare delle omonime Officine Meccaniche. Ma le spiegazioni che diedero non erano quelle aspettate. Quella nave doveva trasportare in Palestina (ancora sotto mandato britannico) “alcuni ebrei” scampati ai campi nazisti. Le autorità alleate ne erano a conoscenza, tanto che - dicevano - erano scortati dalla Military Police.
A quel punto la scena assunse tratti fra il comico e il drammatico, e probabilmente si sfiorò un incidente fra forze dell’ordine italiane e militari. Sul molo arrivò una jeep carica di soldati alleati in divisa, che, vedendo cosa era successo, si allontanò in fretta. La camionetta fu inseguita, e rintracciata… in colonna con 37 autocarri “carichi di circa mille persone di razza ebraica”, tutti non italiani.
Furono portati al molo. Le autorità alleate spiegarono che le famiglie dei sopravvissuti alla Shoah dovevano salpare verso la Palestina inglese con il motoveliero “Fede” e con un’altra nave, la “Fenice”; che i carichi di viveri e nafta erano stati fatti da loro e che i mezzi dell’industriale Bargiacchi erano coinvolti nell’operazione. La Prefettura però non ne sapeva nulla, e tutto fu bloccato: gli italiani coinvolti furono messi a disposizione del comando alleato di Genova.
Fu a quel punto che le voci (già presenti tra la popolazione, ed evidentemente dovute ai movimenti di camion, materiali e vettovagliamenti verso il molo Pirelli), presero maggior vigore. Gli avvenimenti della notte del 3 aprile, fraintesi da chi non era direttamente a conoscenza dei fatti, parevano confermare l’idea di un grande arresto di massa operato dagli italiani, che avevano scoperto una losca operazione segreta ad opera degli alleati. Così lo spiegava il documento:
Nelle prime ore del mattino la notizia del fermo di un così notevole numero di persone e della motonave sulla quale avrebbero dovuto imbarcarsi, determinò in larghe masse della popolazione, specie di quella operaia, appartenente politicamente ai partiti di sinistra un vivissimo fermento, con propositi di effettuazione immediata di scioperi e di atti di grave violenza contro i presunti elementi fascisti fermati in porto.
Fu perciò necessario rinforzare notevolmente i servizi di vigilanza e farvi apparire anche un’autoblinda in difesa degli ebrei.
Lo sciopero fu scongiurato dopo che gli organi sindacali ed alcuni componenti del C.L.N., anch’essi in sulle prime diffidenti, non furono convinti che trattavasi effettivamente di ebrei e non di fascisti, intervennero a calmare gli animi.
Le voci, di cui peraltro si trova qualche traccia sui giornali del tempo (ad esempio, su La Stampa del 5 aprile) incontrarono molto probabilmente un humus fertile nell’idea che i comandi alleati stessero in qualche modo aiutando nazisti e fascisti a scappare - un’eventualità che, da sinistra, era naturalmente vista come fumo negli occhi. L’intera operazione, dal loro punto di vista, non sarebbe mai potuta avvenire senza il loro beneplacito: l’Italia nel 1946 era ancora un Paese occupato.
Il tutto fu, probabilmente, complicato dalle tensioni fra militari alleati e autorità italiane, una circostanza che sembra intuibile dai provvedimenti segnalate dal Prefetto.
Comunque sia, a fine giornata i 37 camion delle Officine Bargiacchi furono dissequestrati, i loro autisti (militari britannici) rilasciati, la jeep riconsegnata, e tre soldati inglesi, “ebrei che vivevano in Palestina” (in realtà si trattava quasi di certo di militari della Brigata ebraica del Royal Army britannico, allora acquartierata presso Capua), trattenuti più a lungo perché avevano cercato di confondere le acque sulla loro identità. La cosa agli inglesi non doveva far piacere, perché era un’ulteriore indizio della crescente difficoltà a controllare, nel dopoguerra, i membri della Brigata ebraica, che supportavano la guerriglia sionista in Palestina. Non a caso l’unità fu smobilitata e in sostanza sciolta da Londra nell’estate del ‘46, pochi mesi dopo il nostro episodio.
Rimaneva il problema del “Fede”, non autorizzato a partire: una questione che, prima di risolversi, andò per le lunghe. I profughi diretti verso il nascente stato di Israele, bloccati sul motoveliero, erano sprovvisti di documenti e tacevano sulla loro provenienza. Fin da subito, avevano adottato un contegno “improntato alla più tenace resistenza passiva”: minacciavano di incendiare o far saltare la nave con loro a bordo, se gli fosse stato impedito di partire per la Palestina. Si trattava di 611 uomini, 400 donne e tre ragazzi fra i 10 e i 14 anni.
Come spiegava il prefetto di La Spezia, furono identificati dalla Questura come polacchi e tedeschi
“provenienti in buona parte dai campi di concentramento, come si rileva chiaramente a fuoco, indicanti la loro razza che ignobilmente i tedeschi impressero in modo indelebile nella loro persona”.
Viste le complicazioni politiche, gli inglesi si defilarono lasciando la gestione dei profughi agli italiani che, dal canto loro, in quel momento avevano (letteralmente!) il problema del pane e del riscaldamento. I viveri ammassati a bordo delle navi potevano bastare solo per una settimana, e alcune persone erano malate di tubercolosi. Soltanto l’8 maggio lo stallo fu risolto: dopo più di un mese, la nave fu autorizzata a partire per la Terra promessa.
Le fonti disponibili e i commenti successivi si concentrano, comprensibilmente, sulla vicenda tragica di queste mille persone e sulla loro permanenza nella città ligure, piuttosto che sulle voci circolate in città. Da quello che intuiamo furono brevi ma intense, come una tempesta. L’ambiguità degli accadimenti (viaggi di camion, presenza di autisti stranieri, vasti approvvigionamenti fatti per navi di norma destinate a viaggi brevi) si unì alle tensioni tremende del momento: non dimentichiamo che in quei mesi le violenze politiche erano all’ordine del giorno, e che gli stessi ex-repubblichini organizzavano sovente attentati e atti dimostrativi. Era il clima ideale perché le dicerie dilagassero.
Per quello che si può capire dai documenti d’archivio, le ricostruzioni successive (come quella fatta presso il Consiglio Regionale della Liguria il 26 gennaio 2016 dal giornalista e scrittore Marco Ferrari, in occasione del Giorno della memoria) potrebbero essere state un po’ troppo indulgenti nei confronti della città di La Spezia e del clima del tempo. Alle pagine 5 e 6 di questo resoconto, Ferrari accenna a quanto accadde il 4 aprile, aggiungendo qualche precisazione: ad esempio, il fatto che la colonna di camion fosse fatta provenire, secondo la voce popolare, da Sarzana, e che i fascisti sarebbero stati imbarcati in massa per la Spagna franchista. L’autore però lascia intendere che, arrivati sul molo, i manifestanti si resero conto all’istante della realtà in maniera spontanea, senza azioni di contenimento da parte delle forze dell’ordine o senza che fosse necessaria l'opera di convincimento su sindacalisti e CLN cittadino.
In questo modo si perde un po’ la particolarità dei racconti che circolarono a La Spezia nella prima metà del 1946, ossia la loro tragica paradossalità. Scampati ai campi di sterminio nazisti, i profughi ebrei avrebbero potuto essere oggetto di ulteriori violenze, perché le dicerie li additavano come fascisti e nazisti in fuga, sotto la copertura degli eserciti occidentali. Ed è questa la chiave di lettura che si può dare su questa vicenda.
Ricordiamo che, mentre accadevano queste cose, la frattura fra i vincitori della Seconda Guerra Mondiale si era ormai determinata. Il 5 marzo, un mese prima della nostra storia, Winston Churchill aveva tenuto a Fulton, nel Missouri, il celebre discorso con il quale aveva reso famosa l’espressione Iron Curtain (cortina o sipario di ferro), che indicava l’imminente divisione dell’Europa: da un lato il blocco delle dittature sovietiche, dall’altra quello atlantico.
Gli alleati recalcitranti, costretti dalla necessità di far fronte comune contro la Germania e ai suoi alleati, ormai si guardavano in cagnesco. In quello scenario, pure storie di questo tipo diventavano plausibili. La sinistra italiana, su posizioni vicine all’URSS, considerava i comandi americani e inglesi capaci di qualsiasi bassezza: anche di far scappare segretamente e in massa ex-soldati fascisti e nazisti, nemici fino a un secondo prima.
Immagine in evidenza: La Haganah, fotografata il 18 luglio 1947 nel porto di Haifa, nel nord dell'ancora Palestina sotto mandato britannico, carica di ebrei europei sopravvissuti alle persecuzioni degli Stati fascisti. Da Wikimedia Commons, pubblico dominio
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