Articolo di Sofia Lincos
Immaginatevi la scena: nel bar di un paesino, un uomo sta raccontando ad un folto uditorio un avvenimento straordinario, capitato all’amico di un amico. Ad una festa, il giovane ha incontrato una donna pallida e triste. L’ha riaccompagnata a casa, lasciandole per di più in prestito la sua giacca, dal momento che l’eterea fanciulla sembrava infreddolita... Sapete già come va a finire, vero? Tornato il giorno dopo a riprendere l’indumento, il protagonista della nostra storia fa una scoperta agghiacciante: la donna è morta da tempo; la sua giacca, invece, giace abbandonata sulla tomba della ragazza.
È a questo punto che uno dei presenti si alza, e con una smorfia commenta: “Eh, questa è vecchia”. Già, ma quanto è vecchia?
A rispondere alla domanda arriva un libro davvero notevole, uscito a maggio per Il Mulino: Miti vaganti. Leggende metropolitane tra gli antichi e noi. L’autore, Tommaso Braccini, è docente di Filologia classica e Lingua e letteratura greca all’Università di Siena, e il suo nome non dovrebbe suonare troppo nuovo ai nostri lettori.
Da alcuni anni, Braccini esplora un interessantissimo filone di ricerca sulle leggende metropolitane moderne già presenti in epoca classica: ve ne avevamo parlato qui e qui. Ora i suoi studi sono stati riuniti e ampliati con questo volume, che indaga proprio la permanenza di alcuni motivi antichi fino ai nostri giorni.
Due premesse, però: la prima è che non si tratta di un catalogo esaustivo. Piuttosto, Braccini ha scelto di concentrarsi su alcune tipologie di leggende che potessero essere abbastanza rappresentative, seguendone evoluzioni e adattamenti. Sono stati lasciati fuori macro-argomenti come il cannibalismo involontario (che si trova fin dall’antichità, ad esempio, nelle storie degli osti assassini) o i presunti sacrifici umani addebitati al nemico pubblico di turno (che dai tempi delle prime accuse del sangue contro gli ebrei al moderno complotto QAnon vantano una lunga e fiorente tradizione).
La seconda premessa è che non si tratta di un volume sui miti antichi. Anche qui l’autore ha operato una scelta, scegliendo di non occuparsi delle narrazioni che circolavano in epoca classica, ma ormai scomparse dal nostro immaginario. Il merito e l’originalità del libro, forse, sta proprio in questo: il continuo dialogo tra passato e presente, tra la diceria riportata su un quotidiano un paio di anni fa e quella trascritta dal cronachista di molti secoli orsono.
I folkloristi hanno un concetto, per indicare queste varianti, che Braccini spiega così:
Tali forme di adattamento all’ambiente locale, che possono riguardare i protagonisti di una storia e altri elementi della sua trama, sono note come “ecotipi”, un termine di origine botanica impiegato anche per altre forme di folktales (“racconti popolari”) diffuse da tempo immemorabile, come fiabe, favole, barzellette, leggende.
Questi adattamenti di uno stesso motivo a contesti culturali diversi sembrano tracciare, secondo le parole dell’autore, un vero e proprio “ponte tra noi e gli antichi”, un’immagine foriera di riflessioni. Perché esistono questi ponti? O, detto in altri termini: perché una storia che era efficace nel primo secolo continua ad esserlo nel 2021? E come è arrivata ai nostri giorni?
I casi analizzati da Braccini, infatti, non sono tutti uguali. Esistono leggende che sono state continuamente narrate per secoli, e altre che invece sembrano sorgere dal nulla in maniera autonoma, a distanza di tempo e di spazio (si parla, in questo caso, di poligenesi). Vediamo un paio di esempi al riguardo.
Al primo tipo appartiene, probabilmente, la lunga saga del vetro flessibile, riportata da autori illustri come Petronio, Plinio e Isidoro di Siviglia. Il protagonista è un geniale artigiano che scopre il segreto per fabbricare un vetro infrangibile - o addirittura flessibile! Ne fa una coppa che porta in dono all’imperatore, sperando in una ricompensa. Quest’ultimo (la cui identità varia a seconda della versione) rimane molto impressionato dalla dimostrazione e ordina che l’inventore sia messo a morte: se il nuovo materiale si diffondesse, il valore dell’oro crollerebbe.
La storia (che ricorda un po’ le dicerie sull’auto funzionante ad acqua la cui esistenza sarebbe stata nascosta dalle lobby petrolifere) ricompare quasi uguale nel Seicento e nell’Ottocento: in questi casi, il potente di turno a cui l’inventore offre i suoi servigi è il cardinale Richelieu, oppure Napoleone. La saga del vetro flessibile è dunque una narrazione che è stata raccontata e ri-raccontata nei secoli, da autori popolarissimi e meno (dalle Etimologie di Isidoro di Siviglia era approdata ai repertori medievali ad uso dei predicatori): per questa leggenda - conclude Braccini - si può pensare a una derivazione diretta, a partire dalle fonti classiche.
Meno chiara la relazione per altre leggende analizzate. Prendiamo la storia del capotopo: nel 1986, subito dopo il disastro di Chernobyl, nei dintorni di Napoli si diffonde la notizia di un ratto gigante, avvistato prima nel cimitero di Poggioreale, poi in quello di Torre del Greco. Si parla di un roditore gigante, del peso di 25 kg, considerato il “re dei topi” e descritto come bianco e cieco.
Braccini collega questo episodio ad alcune storie antiche in cui un “incantatore” è incaricato di far sparire gli animali che infestano una città (in genere ratti o topi, ma ci sono varianti che parlano di serpenti): la processione degli animali evocati si conclude spesso con l’apparizione del loro “sovrano”, un esemplare vecchissimo e malandato. In questi casi, commenta Braccini, è difficile che le storie moderne derivino da quelle antiche, meno note rispetto agli autori del vetro flessibile; più probabilmente, si tratta di fenomeni “carsici”, in cui i racconti arrivati a noi potrebbero essere considerati “emersioni” di un complesso narrativo molto più ampio:
Un rapporto diretto tra queste tradizioni scandinave e il Grande libro dei talismani di Apollonio di Tiana sembra improbabile; più plausibilmente siamo di fronte a due punte di un iceberg narrativo che deve aver ampiamente circolato nel tempo e nello spazio.
Esistono, infine, leggende moderne che ricordano quelle antiche, ma in cui è quasi impossibile una derivazione diretta: queste nuove narrazioni nascono, talvolta, in contesti sociali simili a quelli che ne avevano permesso la proliferazione originaria, o con scopi analoghi.
Un esempio da manuale è quello che vede il sacco di Roma dell’anno 410 come un inside job dell’imperatore Onorio: qualcosa che ricorda, con le ovvie mutazioni del caso, le dicerie sull’attentato dell’11 settembre 2001 (organizzato dal presidente Bush o dalla CIA, secondo alcune ben note teorie del complotto).
La ragione psicologica di fondo è, probabilmente, il profondo shock derivante da un attacco sferrato proprio al cuore degli Stati Uniti: difficile, per alcuni, credere che l’America fosse così debole e impreparata di fronte a un nemico esterno; meglio pensare a un attentato orchestrato dall’interno. Allo stesso modo, deve essere stato scioccante, per i cittadini dell’Impero romano, il sacco della città eterna: impossibile, per alcuni di loro, ammettere che un pugno di barbari potesse mettere sotto scacco l’invincibile Roma. Doveva essere stato lo stesso imperatore a consegnarla nelle mani degli invasori…
Allo stesso modo, è possibile che le storie su pericolosi animali rilasciati in natura (magari da un governo poco attento alle esigenze dei cittadini) possano aver avuto origine da analoghe osservazioni fatte sia nell’antichità, sia ai giorni nostri. In epoca classica si trattava di voci che coinvolgevano Decio, che regnò dal 249 al 251. L’imperatore, secondo alcune cronache del tempo, aveva liberato leoni e rettili velenosi lungo i confini orientali, dopo averli fatti arrivare direttamente dall’Africa: un metodo “non convenzionale” per contrastare i barbari che incombevano sui territori dell’Arabia, della Siria e della Palestina. In tempi moderni, come sappiamo, si tratta in genere di vipere lanciate dagli elicotteri (magari dal governo, come forma di ripopolamento, o dagli ecologisti, per combattere i cacciatori); ma non mancano dorifore paracadutiste o piccioni deportati. Dietro alla leggenda, in tutti questi casi, potrebbe esserci un’osservazione simile: la constatazione di un improvviso aumento di animali dannosi, della quale non si riesce a trovare una spiegazione. E se fossero stati liberati apposta da qualcuno, incurante degli abitanti del luogo e dei pericoli che avrebbero corso?
Così, in un continuo rimbalzare tra antico e moderno, Braccini analizza molte altre leggende, in un’ottica diacronica. Le epidemie di peste ai tempi degli antichi greci? Volute da Zeus in persona, per spopolare un mondo ormai troppo “carico” di esseri umani. Le fogne di Pozzuoli? Infestate da pericolose piovre, in grado di salire lungo gli scarichi e arrivare fin dentro gli edifici. Le “piogge di lana” caduta dal cielo? Un fenomeno sovrannaturale, veri e propri residui di demoni. E poi, ancora, storie quasi universali di spose cadavere, pericolose tentatrici dai piedi asinini, profezie pronunciate da neonati mostruosi, un libro sconcertante scritto da Lazzaro sulla sua esperienza post mortem e tenuto nascosto dalle autorità ecclesiastiche, una misteriosa setta (quella dei Fundagiagiti) su cui fiorirono dicerie molto simili a quelle del satanic panic degli anni ‘90… Il tutto, corredato da un ottimo apparato bibliografico, che fa venir voglia di mettersi a caccia dei testi e degli articoli citati.
Uno degli obiettivi di Braccini è far capire che, fin troppo spesso, dietro a quella storia raccontata dall’amico come un'inaudita novità si nascondono in realtà motivi antichissimi:
Tramite i nostri smartphone possiamo avere accesso istantaneo a pressoché tutto lo scibile umano, ma questo non basta per essere al riparo dal fascino malsano di racconti ancestrali “cuciti” perfettamente sulle nostre inquietudini e dotati dell’inesauribile capacità di adattarsi ai tempi che cambiano senza mai venir meno, o ripresentandosi in occasione di quelli che vichianamente si potrebbero definire ricorsi storici.
Questi racconti, lo sappiamo, non sempre sono innocui:
Le leggende contemporanee, infatti, possono fare male, forse oggi più di prima: l’avvento della rete le ha rese più mobili e ancora meno controllabili, sempre pronte a innestarsi su ogni evento destabilizzante, con un’onda d’urto che prosegue per anni, decenni e forse ancora più a lungo.
Anche per questo conoscerne la storia può rivelarsi utile: serve a contrastarle meglio (quando necessario) e a comprendere i motivi per cui continuano a tornare, anche a distanza di secoli. E in questo, il bel libro di Tommaso Braccini è un ottimo alleato.
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