Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo
Phillip George Knightley (1929-2016) è stato un giornalista importante. Australiano di nascita, dal 1954 si trasferì in Gran Bretagna, dove fece carriera come reporter di guerra e come esperto di spionaggio, in specie nelle fasi più tempestose della Guerra fredda tra il blocco occidentale e quello comunista.
Negli ultimi anni di vita Knightley sostenne (rimettendoci parecchi soldi, per motivi legali) Julian Assange e la sua iniziativa WikiLeaks, acquisendo ulteriore fama mediatica.
La storia che ci interessa raccontare però ci porta alle origini del lavoro di Knightley, quando era ancora un giovane giornalista australiano (era nato a Sydney). Nel 1954 Knightley scriveva per parecchi tabloid, ma soprattutto per uno dei più diffusi, il settimanale Truth, che riempiva le sue pagine con storie di divorzi scandalosi o con le cronache sportive. Ogni volta, però, c’era da trovare una storia d’effetto per la prima pagina. Fu la difficoltà a reperire una notizia da urlo che portò il giornale a generare una vicenda le cui modalità hanno attirato l’attenzione degli studiosi di leggende contemporanee e dei meccanismi alla base delle false notizie.
Knightley ha ricostruito la vicenda nella sua autobiografia, A Hack’s Progress (Londra, 1997), tanto da indurre il sociologo Robert Bartholomew a inserire il caso nel suo Outbreak! The Encyclopedia of Extraordinary Behavior (2009, pp. 154-155).
Un giorno, lui e il direttore di Truth si erano convinti che i distributori di latte di Sydney lo allungassero con acqua. Avevano già preparato la prima pagina con lo scandalo, ma le analisi che avevano fatto fare sul latte imbottigliato tardavano ad arrivare. Finalmente, il responso: il latte era di ottima qualità, non era adulterato. A quel punto, la redazione si trovò con un pugno di mosche e Knightley, preso dalla disperazione, si mise a sfogliare i quotidiani di quei giorni, finché sul Sydney Morning Herald lesse di un giovane incriminato per aver importunato sessualmente una ragazza su un treno pendolari affollato che portava in città. Fu così che concepì la storia di The Hook, “L’Uncino”.
A noi, il nome The Hook richiama alla mente un’altra leggenda, quella dell’uomo con l’uncino che aggredisce le coppiette appartate in auto; i giovani coinvolti, avvisati della presenza del maniaco a piede libero, scapperanno con la loro auto, per poi trovare un uncino appeso a una maniglia dell’auto - segno che il criminale li stava osservando e che ne erano vittime designate. Questa storia, tipica degli Stati Uniti e protagonista di diversi film horror, non c’entra nulla con quella australiana inventata da Knightley.
Per lui, The Hook sarebbe stato il soprannome che, in segreto, la polizia di Sydney dava a un maniaco che molestava le donne sui treni della rete locale grazie ad un apparato di sua invenzione. Nelle ore di punta, tra la folla che si ammassava sulle vetture, il molestatore faceva spuntare da sotto l’impermeabile un attrezzo snodabile ed estensibile con in cima un uncino che poi, a distanza, usava per sollevare gli indumenti femminili. Al direttore l’idea di Knightley piacque, e così Truth uscì il 4 luglio (come al solito la domenica), lanciando la notizia secondo cui “il maniaco sessuale dell’uncino” continuava a colpire in città, come se volesse far riferimento a una serie di eventi che proseguiva da un pezzo - mentre in realtà era quello il primo cenno mai comparso sulla faccenda.
I toni erano allarmistici: si faceva riferimento a petizioni e richieste alle autorità da parte delle organizzazioni femminili di Sydney, affinché la minaccia di The Hook fosse rapidamente sventata.
Nell’articolo, Knightley non esitava a inventarsi la testimonianza di una quattordicenne terrorizzata e le dichiarazioni di un funzionario di Polizia che intendeva rimanere anonimo, secondo cui le forze dell’ordine non avevano ancora capito come The Hook riuscisse a dileguarsi ogni volt (ma precisando che le denunce continuavano ad accumularsi)… Particolare non trascurabile, l’articolo era accompagnato da un elemento scenografico decisivo: una ricostruzione fotografica dettagliata delle modalità con le quali veniva messo in azione l’oggetto misterioso, l’uncino di cui si serviva il maniaco. Le immagini, come si vede dall'esempio qui accanto erano di genere voyeuristico.
A quel punto, i cronisti degli altri giornali della zona, che ovviamente non ne sapevano nulla, cominciarono a telefonare alle stazioni di Polizia di Sydney e dintorni. Una rimandava all’altra, sostenendo che loro non avevano ricevuto denunce; ma intanto la gente, preoccupata, cominciava a chiamare le redazioni e - in mancanza d’altro - tutti attendevano comunicati ufficiali da parte delle autorità.
Knightley rientrò in ufficio lunedì mattina, piuttosto fiducioso che, dopo l’eccitazione del fine settimana, la faccenda sarebbe stata rapidamente dimenticata. Tanto più che, come d’abitudine, lui non aveva firmato l’articolo con il quale si era inventato il falso molestatore dalle molle estensibili… Invece, poco dopo ricevette una telefonata assolutamente sorprendente, che nel suo libro ricostruì così (Knightley ne confermò le circostanze negli scambi che ebbe con Robert Bartholomew):
- Sono il sergente Williamson. È lei che ha scritto quella cosa su The Hook?
Per Knightley fu subito chiaro che negare era impossibile: se la Polizia lo aveva chiamato direttamente, era evidente che in qualche modo era riuscita a risalire a lui.
- Sì…
- Ecco. Bene, era solo per ringraziarla e per farle sapere che stamane abbiamo preso quel bastardo.
- Lo avete preso?
- Sì, lo abbiamo arrestato alla stazione del Punchbowl. Lo abbiamo proprio colto sul fatto! Magari vuol scrivere qualcosa sulla faccenda.
Perplesso per la telefonata, dopo un po’ richiamò per accertarsi che non ci fosse stato un equivoco, o che qualcuno volesse prenderlo in giro. Dalla Polizia gli confermarono tutto. A quel punto, aspettò con circospezione che L’Uncino della sua fantasia comparisse davanti a un tribunale di Sydney ma, per quanto cercasse di sapere quando e dove sarebbe stato processato il maniaco materializzatosi dalla sua fantasia, non riuscì a trovarne traccia. Preoccupato che alla fine la sua invenzione gli si ritorcesse contro in qualche modo, lasciò perdere, e la questione finì per essere dimenticata.
Nella sua autobiografia Knightley, oltre a sorridere ancora dell’eccitazione che in quel fine settimana visse Sydney e la stampa cittadina nell’attesa che The Hook colpisse ancora, si domandava a che cosa potesse esser dovuta la pseudo-conferma dell’esistenza del maniaco che gli giunse dalla Polizia. La prima ipotesi era che, per una coincidenza straordinaria, ci fosse davvero in giro in quei giorni un maniaco da arrestare, e che, in qualche modo, la Polizia, lo avesse acciuffato collegandolo erroneamente alla voce che aveva messo in giro; la seconda era che un lettore di Truth avesse letto l’articolo e avesse deciso di mettere in scena la diceria. Si tratta del ben noto meccanismo dell’ostensione, cioè quello tramite cui un attore sociale trasforma in comportamento reale una leggenda metropolitana; la terza (e Knightley propendeva per quest’ultilma ipotesi) era che la Polizia di Sydney che, stando a lui, a quel tempo manipolava statistiche sui crimini e risultati per far apparire le sue capacità superiori al vero, si fosse attribuita la soluzione del caso. Forse, arrestando qualche piccolo molestatore già noto alle forze dell’ordine, voleva identificarlo con il ben più misterioso e interessante Uncino.
Che, però, esisteva soltanto nell’immaginazione di un giovane giornalista di un settimanale popolare a corto di idee, e nell’eccitazione di una città australiana, durata nemmeno lo spazio di un fine settimana.
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